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Tocca le mie ferite e credi nella mia sofferenza, non ho altro da dimostrare di ciò che è rimasto di una partita al gioco più folle al quale io abbia mai partecipato. Ma se hai pochi minuti da dedicarmi, ho una storia da raccontarti. Mettiti comodo.

lunedì 31 luglio 2023

Il messaggio è rivolto solo ed esclusivamente al destinatario. 

Cos'è l'arte?

Secondo me tutto quello che suscita qualcosa di non necessariamente bello. Più semplicemente un canale di comunicazione. Dal punto di vista dell'artista un mezzo di espressione. Una cosa estremamente soggettiva. L'artista e l'osservatore della sua opera, qualunque essa sia, si incontrano sempre a metà strada. Dando vita ad uno scambio, e quindi un legame. Quando questo avviene si stabilisce un contatto. Dico spesso di amare l'arte in ogni sua forma e lo ripeto qui. È qualcosa che eleva l'essere umano. Vi è dentro il concetto della creazione e della forza del pensiero. La cosa bella è che ognuno può fare arte a modo proprio. È una delle poche cose a non avere regole. Non voglio affrontare ora il discorso della libertà di pensiero e di espressione, mi sento però di dire che l'arte sia tendenzialmente priva di regole e trovo giusto sia così. Nonostante questo è sempre un ottimo veicolo del messaggio. Anche il processo creativo è un aspetto del tutto soggettivo e personale, per l'artista. Personalmente deve sopraggiungere in maniera fulminante. Quando creo qualcosa, una cosa qualsiasi, è perché ho avuto in qualche modo un'illuminazione riguardo al come esprimere un concetto, un'idea, un messaggio. Credo poco a lunghissimi brain-storming. Non parlo del tempo di realizzazione di un'opera, quella può richiedere molto tempo. Ma dell'idea alla base. Posso stare per lunghi periodi senza scrivere o dipingere. La fantasia deve fluire libera e scorrere come acqua, non essere forzata.

Purtroppo o per fortuna non vivo di scrittura. 

domenica 30 luglio 2023

Si trovava davanti al suo computer da quelli che dovevano essere ormai tre giorni. Senza dormire, senza mangiare, solo qualche volta si alzava per recarsi al bagno. Che non era poi molto lontano dallo studio, dopotutto. Tutto di lui, nelle ultime giornate, era catturato da quello strano breve testo. Lo aveva ricevuto via mail da un contatto che non era nella sua rubrica. Un certo Lamya.

In fondo mi trovi, se vuoi la verità. 
Non è magica e nemmeno una favola, 
non è bella e forse neppure basterà.
Ma è sicuramente quel che non aspetti,
perché ormai il paradosso più grande
è composto solamente da due concetti:
uni e zeri. 

01001100 01100001 00100000 01100110 01101111 01101100 01101100 01101001 01100001 00100000 01100011 01101000 01100101 00100000 01110011 01101001 00100000 01100011 01100101 01101100 01100001 00100000 01101001 01101110 00100000 01101111 01100111 01101110 01101001 00100000 01100011 01101111 01110011 01100001 00101100 00001010 01101001 01101100 00100000 01110011 01100101 01100111 01110010 01100101 01110100 01101111 00100000 01100011 01101000 01100101 00100000 01101100 01100001 00100000 01100011 01110101 01110011 01110100 01101111 01100100 01101001 01110011 01100011 01100101 00101110 00100000 00001010 01001001 01101100 00100000 01110011 01101001 01101100 01100101 01101110 01111010 01101001 01101111 00100000 01100011 01101000 01100101 00100000 01101100 01101111 00100000 01110100 01110010 01100001 01101101 01100001 01101110 01100100 01100001 00101110 00100000 

 


Chissà se ci ripensi anche tu, ogni tanto. 

 


Conversazione di vita vera. (Dal vecchio blog)

Sai quante possibilità si realizzano nell'infinito?

Non fare questi discorsi a me.


Cercasi disperatamente Tavor.

Ricordo che un giorno ero in fila in farmacia. In attesa del mio turno un uomo malconcio e trasandato si avvicina a me porgendomi una ricetta medica. Parlava a fatica un italiano forzato ma in maniera educata, quasi anestetizzata. «Darmi soldi per medicina per favore!» mi dice. Io non capisco al volo e ci metto qualche istante, poi prendo la ricetta che teneva in mano per guardarla meglio. Per farmi un'idea di cosa avesse bisogno. 
Lorazepam. 

Non gli diedi i soldi.

sabato 29 luglio 2023

Il circo Demurr 2.0

A distanza di dieci anni propongo una rivisitazione di un brevissimo racconto scritto da me e dal titolo "Il circo Demurr".



Il piccolo Ben camminava con la sua andatura più felice e a passo svelto nel tentativo di stare dietro al padre. Lo spettacolo stava per iniziare, dovevano prendere posto e, perché no, qualche popcorn. Non era mai stato al circo, era la sua prima volta. Camminando su un breve viale sterrato si avvicinavano al tendone dove ci sarebbe stato lo show. Era enorme. Sulla cima svettava una bandiera della compagnia circense così grande che il battente sventolando risuonava nel vento. Sovrastato solo da una melodia incalzante ed allegra che accompagnava gli spettatori all'ingresso del padiglione. Nell'aria odore di segatura e fieno.

Superata la biglietteria ed una volta dentro, si ritrovano in mezzo ad una folla intenta a prendere posto in maniera caotica e disordinata. Un forte vociare rendeva la situazione ancora più confusa. «Seguimi Ben, prendiamo i posti» dice il padre rivolgendosi al figlio mentre lo prende per mano. I due si fanno largo tra la mischia e le panche numerate in cerca delle loro sedute. «Eccoci, questi sono i nostri» dice sempre il papà controllando il numero sui biglietti e confrontandoli con quelli sulle poltrone. 

La folla, con il suo brusio chiassoso, sembra disperdersi e placarsi. Ora Ben, dalla sua visuale, vede teste ordinate a perdita d'occhio in direzione del centro del tendone, tutte in attesa che inizi lo spettacolo. Una calda fragranza di popcorn risveglia il padre del bambino che, alzandosi dalla poltrona, gli si rivolge dicendo «Vado a prendere un po' di mais scoppiato, mi aspetti qui?» Lui annuisce senza dargli troppa importanza catturato dalla vastità del tendone, dai trapezi e dalle funi che scendevano dalle travi del soffitto penzolando a mezz'aria.  

Passano pochi minuti e Ben è ancora solo quando calano le luci all'interno del circo, segno che lo spettacolo sta per iniziare. Il mormorio in sottofondo del pubblico scalpitante per l'inizio dello show sembra al piccolo un ronzio, ora quasi piacevole e rilassante. Poi, al centro dell'arena, si accende una luce che illumina solamente uno sterrato ghiaioso. Scende il silenzio e il pubblico attende. Si sentono dei passi avvicinarsi e, finalmente, un uomo dalla lunga barba oltrepassa il fascio di luce portando con sé un microfono.

«Bene, bene. Così siete venuti per vedere acrobati, funamboli e giocolieri? O forse per vedere la feroce tigre e l'altezzoso leone? Non è forse questo il posto dove tutto è possibile? No... Questo è molto di più. È qui che prendono forma le vostre paure più profonde, quelle che non vi fanno dormire la notte tenendovi svegli, mangiandovi la mente e facendo bruciare la vostra anima. Quindi tenetevi forte, non fatevi trascinare dalla paura e, non da meno, buona visione.»

Il pubblico applaude con forza ed il battito di mani sfuma nel buio delle luci che tornano ad affievolirsi fino a spegnersi del tutto. Torna il silenzio, ricomincia l'attesa. In quel buio e in quel silenzio, dei movimenti vicini a Ben gli fanno capire che il suo papà è tornato a sedersi accanto a lui. Non riesce a prestargli attenzione perché incantato dallo spettacolo che sta per iniziare. Nel buio un ruggito e più lieve la voce ferma di un uomo che da ordini alla bestia, infine le luci si accendono illuminando la scena: un domatore ed i suoi tre leoni. 

L'uomo agita nell'aria una lunga frusta imponendo un percorso agli animali tra ostacoli e salti, alla vista del pubblico stupito ed entusiasta. I leoni concludono la loro esibizione al centro del circo, su di una pedana dove con un forte ruggito in coro sembrano volere l'attenzione del pubblico. Il domatore si sta infatti accingendo all'ultimo numero della sua esibizione nel quale inserirà la sua mano tra le fauci di uno dei feroci felini. Si porta quindi ai piedi dell'animale e con una mano gli accarezza la criniera. 

Il leone apre voracemente la bocca ed in uno scatto si piega verso il braccio del suo addestratore afferrandolo. Poi, con una feroce brutalità inizia a scuotere furiosamente la presa strattonando l'uomo a destra e a sinistra. Quest'ultimo, oltrepassato dal dolore, esala uno straziato lamento chiedendo aiuto. La segatura al suolo diventa una poltiglia pregna di sangue. Nessuno verrà in soccorso del povero circense che morirà dopo pochi istanti davanti agli occhi di tutti. I leoni escono infine dalla scena, sulla quale torna l'ombra.

Negli occhi di Ben il terrore. In un surreale silenzio si chiede cosa sia successo. Non riesce a parlare. Vorrebbe piangere ma non ci riesce, vorrebbe abbracciare il suo papà ma il suo corpo è come paralizzato dallo shock. Si chiede come faccia il resto del pubblico a rimanere così impassibile davanti alla scena appena vista. «Vuoi dei popcorn?» gli chiede sottovoce il padre chinando verso di lui la testa ed allungandogli il cartone contenente il mais. Il piccolo, ancora tremante, non riesce a pronunciare una parola. 

Quando le luci tornano ad accendersi, al centro del circo non v'è traccia dell'uomo fatto a pezzi. Il sangue sul terreno è scomparso. "Qualcuno deve averlo pulito" pensa tra sé il piccolo Ben. La situazione sembra tornare quasi normale e per un attimo il bambino ha pensato di essersi immaginato ogni cosa. Poi una musica viene diffusa nell'ambiente dagli altoparlanti e in un gesto naturale gli viene da alzare lo sguardo in direzione del suono, vedendo così tre acrobati appesi ai trapezi posizionati in alto. 

Questi iniziano a volteggiare, saltando da una corda all'altra sospesi in un vuoto di almeno una dozzina di metri. L'esibizione cattura Ben, che la guarda estasiato. Saltano, fanno piroette a mezz'aria, si prendono l'un l'altro proprio quando stanno per cadere verso il basso. Quando, ad un certo punto, uno degli acrobati perde la presa di un compagno. Cadendo a peso morto verso il terreno. Lo sguardo del giovane segue il corpo dell'atleta precipitare in una caduta agitata fino a tonfare sul duro terreno nudo, dove resterà immobile. 

Gli altri due uomini ancora impegnati nella loro performance come se nulla fosse hanno tutta l'attenzione degli spettatori mentre invece, quella di Ben, è fissa sul cadavere dell'uomo appena caduto a terra. Si accorge che una pozza di sangue si sta irraggiando da quel corpo, inzuppando ancora una volta la segatura del terreno di sangue. Lo spettacolo dei trapezisti si conclude in un applauso del pubblico ed i due rimanenti uomini del circo escono dalla visuale. Il corpo inanimato del defunto circense resta immobile. 

Ancora una volta nell'oscurità questa volta il piccolo impaurito riesce a portarsi le mani al volto per coprire la vista a quella scena insopportabile per lui. «Voglio andare a casa... » pensa, trattenendo le lacrime e con il viso tra le mani. Nemmeno suo padre sembra accorgersi delle brutalità che stanno avvenendo in quel posto. Abbassa la testa verso le ginocchia rannicchiandosi in una posizione che lo rende simile ad una pallina di stagnola accartocciata. D'un tratto una mano sulla schiena e la voce del padre che gli chiede se voglia o no dei popcorn. 

«Guarda Ben, stanno entrando i clown!» incoraggia poi il figlio che, piano piano, torna ad alzare lo sguardo davanti a lui. Tre pagliacci si punzecchiano tra di loro facendosi scherzi e dispetti divertenti. Sono tutti colorati ed hanno dei buffi vestiti. Uno di loro porge una scatola ad uno degli altri clown, facendogli segno di aprirla. Questo, incuriosito, ne apre il coperchio. Dalla scatola un guantone da boxe smolla fuori andandolo a colpire proprio sul muso e facendolo cadere a terra sotto le risate di un pubblico divertito. Poco dopo si rialza, si massaggia un bernoccolo sulla fronte e poi tira fuori dalla tasca del largo cappotto una pistola ad acqua. 

Puntandola contro il suo amico burlone, preme il grilletto. Dalla pistola parte un vero colpo da fuoco che fa secco il povero clown. Ancora con la pistola ad acqua in mano e stupito da quello che avevo fatto, guarda la pistola con stupore chiedendosi come abbia potuto verificarsi una cosa simile. Per sincerarsi spara quindi un altro colpo, uccidendo questa volta l'ultimo suo collega. In preda al delirio il clown ancora armato punta la pistola verso il buio che avvolge gli spettatori. Con un occhio chiuso ed uno aperto per prendere la mira, punta in direzione del piccolo Ben. 

Il piccolo indifeso e ghiacciato dal terrore torna a coprirsi il volto preso dalla paura. Un forte boato lo fa sussultare, ma non accade nulla. Intorno a lui ancora il silenzio. Decide di scoprirsi gli occhi per vedere poco dopo il clown steso a terra in una pozza di sangue con la pistola ancora in mano. Ben questa volta piange a singhiozzi, gli manca l'aria. Riprende padronanza del suo corpo e si gira verso il padre in cerca di sicurezza. Nell'ombra lo cerca. 

Accanto a lui, però, suo papà non c'è. Vi è seduto un clown, che con aria incuriosita guarda il bambino. Ben inizia a tremare alla vista di quegli occhi impregnati di sangue, cerchiati di vernice rossa, su una pelle bianca come il latte. Una bocca che sbava si socchiude e sospira e, prima che cali di nuovo il buio, gli chiede: «Ben, li vuoi i popcorn?»

venerdì 28 luglio 2023

In questo momento, dietro le quinte:

Non capirei e non merito di sapere come si faccia a sorridere con la morte nel cuore.
Indietreggio e mi inchino davanti a tutta questa verità.

Non capirei.
Non merito di sapere. 

Avrei preferito una coltellata in piena schiena durante il sonno piuttosto che vederti prendere il tè con i miei fantasmi più antichi e stanchi.


mercoledì 26 luglio 2023


 

Sottomondo.


.aro 
 
 pǝ 
 
 ᴉnb 
 
 lᴉ uoc 
 
 ossǝuuoc 
 
 ǝtuǝmapuoford ip 
 
 asoclanb opuǝpacca ats 
 
 ʻǝtrap artla,llap 
 
 ʻǝtuatsi otsǝnb uI


Segnali di fumo.

Dio santissimo, quanto odio le sigarette. 

Ho iniziato a fumare a quattordici anni. 
Purtroppo non ricordo nemmeno come. 
Non ricordo la prima sigaretta accesa. 
Tantomeno il primo pacchetto acquistato. 
Anche i ricordi avvolti da un denso fumo. 
Come se fumassi da quando ho memoria. 
Immagino tutto sia iniziato come per tutti. 
Un po' per gioco, un po' per la curiosità.
Non era un vizio all'inizio, più uno svago. 
Non mi piaceva nemmeno poi così tanto. 
Era una cosa di cui potevo fare a meno. 
Fumavo poco e raramente, quando potevo. 
Non saprei quando ho perso il controllo. 
Non sapevo ancora avrei perso il controllo.
Gestivo la cosa con tranquillità e calma.
Riuscivo a passare lunghi periodi senza. 
Mi dicevo che era una cosa passeggera. 

Ho un primo ricordo legato alle sigarette:
l'aroma del primo tiro acceso da uno Zippo,
in una fredda e buia mattina di Novembre. 

"Eppure la sigaretta dopo il caffè non è male.
Anche quella dopo aver mangiato un pasto. 
Oppure quella dopo un pezzetto di cioccolato. 
Mica male anche quella dopo aver fatto l'amore. 
Oppure quando sfoga e scarica la tensione."

Sono passati gli anni e le sigarette bruciavano.
Una dopo l'altra nel tempo abbiamo legato. 
Ogni sigaretta accesa è nuova, ma sempre la stessa. 
Ho iniziato a vederci dentro una buona compagnia. 
Dopotutto lei c'era e quando non c'era, mi chiamava.
Nelle notti insonni mentre tutti dormivano, lei c'era.
Ho provato il nervosismo di non avere una sigaretta.
O averla, ma non avere il fuoco per accenderla.
Mi ostinavo ad accenderle anche sotto la pioggia.
Troppe sono state l'ultima, sì, fino alla prossima.
Poche mi hanno fatto abbastanza schifo.
Ma mai abbastanza da lasciar perdere.
Fino al respiro pesante e affannato.
Dopo una lunga salita. 

In cima mi accendevo una sigaretta.

domenica 23 luglio 2023

Cuciamo idee addosso alle persone che fanno parte della nostra vita. Le vestiamo delle nostre aspettative, accessoriandole con i nostri sogni come fossero nastri di seta brillantati. Oppure le specchiamo nei nostri incubi peggiori facendole suonare come pianti terrorizzati. Prima ancora di voler bene ad una persona amiamo l'idea che ci siamo fatti di quest'ultima. Il più delle volte questa è carica di significato oltre ogni previsione. Rifletto molto spesso ormai da tempo che, io, per l'altro non sono nient'altro che un'idea. E questo non è male, considerato il fatto che un'astrazione è la somma delle parti che compongono l'intero. Un po' come se potessi vedermi dall'esterno con occhi diversi ed una consapevolezza del tutto. Localizzarmi e prevedere la mia traiettoria nella vita e nel cosmo. È oltretutto una visuale su di me che non riesco ad avere, perché ovviamente abituato (costretto?) a vedermi da dentro. Il problema è che un'idea è quasi sempre soggettiva e tristemente contaminata da pregiudizi e moralismo. Magari per qualcuno che mi legge senza conoscermi potrei essere semplicemente "quello che scrive" o, per chi mi conosce meglio, "quello là, che fa quel lavoro, che ha quella famiglia, che fa quelle cose". Voglio dire che nessuno conosce nessuno per davvero, mai. Conosciamo tuttalpiù una parte di quella persona. Il più delle volte combacia con quella di cui abbiamo più bisogno. Le persone le costruiamo noi. Dal punto di vista della persona esiste l'io nella sua totalità, magari non sempre pienamente conosciuta ma sicuramente presente nell'insieme. Alla vista degli altri siamo frammentati. Passiamo attraverso un contagocce. 

Tutto questo credo ci renda tutti sempre un po' più soli.


Ti svelo un segreto.

In un'altra vita mi piacerebbe essere in grado di scrivere favole per bambini.  

Disturbo spirituale.

Portando la sigaretta alla bocca e alzando lo sguardo verso di lui, a denti stretti dice «Sai... Temo di dover provare con un esorcista». 

Cit. Un libro che probabilmente non vedrà mai la luce di Soffio Entropico. 


Con cortesia l'esorcista rassicura che la procedura sarà lunga e oscura
accendendo le candele si accingeva allo scontro più epico
la presenza dentro lui è antica e malvagia oltre ogni misura
si esprime con una lingua in codice che di tutto parla ma poco dice
perché è lei che custodisce un vecchio segreto misto a verità 
che a nessuno importa e quindi frammentato e sparso per questa realtà
gli fa dire cose strane tipo ossimori paradossali con tono così greve 
che anche il prete indietreggiando un po' si spaventò eppure 
con una croce in mano farfugliava sottovoce una preghiera
che nella stanza ormai buia e fredda flebilmente risuonava
contro un mostro quasi morto e per questo incazzato e vendicativo
che vomita parole e blasfemie facendo piangere sangue al crocefisso
evocando maledizioni e sortilegi che riportano all'abisso più infinito 
il prete in un istantaneo flash vede il disegno fitto e controverso 
del segreto che si cela in quello spettro ormai dimenticato e sbiadito 
poi cadendo in ginocchio apre le braccia e avvolge la morte
in un'espressione incredula come un bambino che vede un trick di magia
esala un sospiro soffocato che sarà l'ultimo del sacerdote
in un fiato la sua anima stuprata dal male aleggia nella stanza e poi vola via
sulla scena del rito restava di lui talare ed una sporca croce 
insieme al male che regnava sopra un corpo stanco e senza forze
irrigidito e teso da una forza dentro che ha ormai preso in mano il gioco 
e silenziosamente arbitra un diabolico incontro tra le persone che abita
senza rimorso e senza paura sul fondo le trascina per poi mollare la presa
pesante come un masso si fa trascinare a peso morto nella vita che lo ospita.





Un brano che adoro:





sabato 22 luglio 2023

Nausea, insonnia, inappetenza, cefalea, allucinazioni, ornitorinchi. 

Silenzio radio.

Qui Sierra, Oscar, Foxtrot, Foxtrot, India, Oscar. 

Ci addentriamo in area ostile.

Percepiamo un pericolo.

Chiediamo supporto e annunciamo silenzio radio fino a nuova comunicazione.

Passo e chiudo. 

Amnistia.

Io, in fondo, ce l'ho un po' con Dio. 

Nello stesso identico modo in cui Lui ce l'ha con me. 

Ci punzecchiamo da sempre ed oggi siamo arrivati al punto in cui ci prendiamo a coltellate, aprendo larghe ferite in entrambi. 

Parlo di un Dio bambino, che sa essere dannatamente cattivo nella sua innocenza e nella sua ingenuità. 

Ma anche tanto fragile ed indifeso alla furia di un soffio del Diavolo. 

Siamo cresciuti insieme facendoci giocosi dispetti, passandoci al volo una bomba innescata da tempo. 

Passando del tempo anche solamente a fissarci, muovendoci in sincronia. 

E quindi cambiando. 

Conoscendoci sempre di più, in fondo, sempre più giù. 

Fino a perdere il contatto con la superficie, fino a non vedere più la luce.

E nel buio lottiamo, silenziosamente ci lanciamo maledizioni. 

Una guerra scatenata.

Una diplomazia velenosa.

Tattiche sleali.

Armi proibite.

A sua immagine e somiglianza mi dipingo il volto con vernici che ricordano pitture indigene.

Tamburi risuonano melodie di un conflitto che avanza. 

All'alba di un giorno qualunque.

Alla luce di un sole tiepido.

Bagnato da una pioggia acida.

Chiedo amnistia.





Non so perché, mi viene però in mente questa canzone:




giovedì 20 luglio 2023

Roulette russa.

Con premura e rammarico muove il dito contro il tavolo, tenendo il tempo e battendo il ritmo di una sola nota. Un suono martellante in grado di far salire l'ansia fino a sincronizzarsi con il battito cardiaco. Una finestra aperta sul freddo grigiore del mese di Febbraio congela la stanza. Il suo pesante respiro condensa davanti al suo stesso volto stanco e immobile. Nella mente naufraga allontanandosi dalla sponda, trovandosi in un mare aperto che diventa oceano. Nel frattempo l'altra mano pende quasi morta raso terra con un'arma da fuoco nella presa. Un vecchio revolver con esclusivamente un colpo nel tamburo. Piano piano si solleva all'altezza della tempia dove la canna fredda poggia sulla pelle tiepida. Davanti agli occhi le immagini di una vita e come suono una melodia nera, appeso al muro un orologio che fa tic tac scandendo il passare del tempo prima della scelta. In balia della resa chiede scusa, trema e spera che la sua dipartita abbia più senso della sua esistenza intera. Dalla sua nemmeno più la sfortuna al che sgrilletta con impazienza ed in un forte suono finisce la sua pena. In un lago rosso ora il suo corpo giace freddo ed inanimato, e con lui tutte le preoccupazioni e le paure se ne vanno. Con titubanza l'anima si stacca uscendo da quel foro insieme al fumo dell'unico colpo andato a segno, in una vita passata a prendere la mira senza mai fare un centro. Sul tavolo una lettera scritta con la penna nera, ormai anche quella è pregna del sangue della sua coscienza che non si legge nemmeno una sua firma. Sarà solo la scientifica che disponendo l'autopsia riconoscerà qualche brandello di pietà mista ad umanità incompresa, in quel gesto che racconta la mediocrità di una sconfitta attesa. 

martedì 18 luglio 2023

Girotondo.

Con le mani nelle tasche camminavo per le strade a testa bassa, con lo sguardo a terra e una visuale dentro me. Disgustato dal contesto come fosse acqua stagna, quella sera passeggiando mi sentì d'un tratto gli occhi addosso. Niente di più surreale del male che ti guarda dormire a bordo letto, che ti dà un bacio della buonanotte che sa di sonno eterno. Questo è il compromesso secondo cui tu dormi e lei ti guarda e finché respiri la sua aria la tua coscienza sarà dannata. Avverto una costante presenza, a prescindere da dove io mi trovi. Non nasce da me, non l'ho generata io, il suo posto è fuori. È qualcosa di antico che con sé porta incantesimi e maledizioni, sfuggendo a tutte le leggi universali e conosce da sempre il cosmo in lungo e in largo. In fuga dal tempo e mai in ritardo con il bisogno costante di sapere ogni cosa, capace di spostarsi tra universi paralleli. Un po' per gioco, un po' per noia gira spesso per il globo abitando gente a random riscuotendone una tassa, tipo imposta diretta sull'esistenza stessa. E paghi con la mente, paghi con il cuore e con il corpo fino a perdere il contatto con il tuo io più profondo. Sfrego le mie mani una contro l'altra per riprendere consapevolezza di ciò che sento, riscaldando un freddo dentro ma che ancora non si sta sciogliendo. Posseduti dal male più perfetto, oltre questi corpi c'è qualcosa che si insinua nelle menti e le riporta nella parte oscura. Quando sei nel letto lei in silenzio ti guarda e senza rimorso alcuno piano piano ti sussura:
tre...
due...
uno. 

domenica 16 luglio 2023

Non biasimatemi se, come dite, ripenso sempre al passato. Comprenderlo è l'unica chiave di lettura per leggere il presente. È sempre stato così. 

mercoledì 12 luglio 2023

Fumo del passato.

Una notte come tante di diversi anni fa. La tv che parlava, trasmetteva il telegiornale della notte. Con la porta aperta per fare girare un po' l'aria calda di quell'estate. L'insonnia che batteva forte sulle tempie scandiva attimi interminabili. Mi lasciavo andare quindi nel modo in cui più mi piaceva.

Era una mia fragilità. Non riuscivo a vederlo come un "problema", mi ci sono voluti degli anni. Eppure era la compagnia che più preferivo a quei tempi. Mi permetteva di vedermi e quindi di centrarmi. Non saprei in che altro modo spiegarlo.

Il suono delle cicale sugli alberi, qualche moscerino che svolazza. L'odore della notte buia e quel sapore così forte in bocca da far grattare la gola. Le palpitazioni aumentavano, riuscivo a sentire distintamente il sangue scorrermi nelle vene. Il mio corpo si rilassava.

Prendevo distanza da me stesso e tutto ciò che mi ruotava attorno, riuscivo a contemplare ogni cosa dall'esterno senza lasciarmi trascinare dai pensieri. Questi scorrevano come una goccia d'acqua sul finestrino di un treno in corsa. 

Stavo andando lontano con nessuna intenzione di fermarmi. Qualsiasi direzione stavo prendendo, la percorrevo velocissimo. Mi solleticava la mente, avrei voluto in quel momento assaporare ogni attimo di quel viaggio. Non riuscivo a fermarmi.

Il bisogno di vedere le cose da prospettive nuove e diverse mi portava all'estremo. Volevo raggiungere a tutti i costi quella visuale privilegiata che mi avrebbe permesso di tuffarmi poi in picchiata contro la mia immagine, schiantandomici contro a tutta velocità. 

E ci avevo preso l'abitudine, perché mi piaceva sentirmi in quel modo. Vedere le cose in quel modo. Sentire il mondo in quel modo. Era un momento di leggerezza del quale non volevo privarmi, ma che poi così leggero non era perché ogni volta la mia mente andava lontano e non riuscivo a starle dietro.

Passavano i mesi, che diventavano anni. E non riuscivo a farne a meno. Era l'appuntamento fisso con un mondo parallelo, al di fuori del quale non ero più io. Ogni volta andavo sempre più il là ed ogni volta ne tornavo diverso, non riuscivo più a trovarmi fuori da quell'atmosfera. 

Avevo costruito una gabbia per tenermi al sicuro e non avevo intenzione di uscirne. Quegli spazi inziavano a starmi stretti e a puzzare di vecchio e logoro. Con i palmi stretti sulle sbarre di quella prigione guardavo il mondo chiedendomi quale fosse il dentro e quale il fuori.

Non c'era più niente. Non restava più nulla. 

Avvolto da un fitto fumo denso mi lasciavo andare come un pianista che improvvisa e suona ad orecchio. 


Game over.

Oltre la finestra luminosa di un'alta mansarda una luce accesa nella sera che seduce e avvolge illuminando quella stanza controluce creando ombre sadiche come allucinazioni. 
Eppure in quella stanza passava la maggior parte del suo tempo un giovane uomo che poco gli importava se non di quando dondolando fumava. 
E poi scrivere fino a farsi male perché è un nuovo modo di sentire il mare una vista tipo aurora boreale al di sopra di quella casa con quel prato verde ed un grande assortimento floreale di ogni tipo. 
E poi scrivere ma stanco di farlo per se stesso su di un social network digitava quella lettera troppo vera che più o meno così diceva:

Ciao sono io mi presento eccomi con l'aria un po' persa e l'anima in tempesta che dice alla mia testa vai o resta voglio scriverti una lettera per parlarti di questa mia vita dura come pietra. 
Ti cerco con la mente aperta senza limiti o confini e con la coscienza quasi nera come l'inchiostro della penna che scrive tra le righe di una pagina sgualcita. 
Sono un po' annoiato in questa stanza non è l'ispirazione che mi manca è che se voglio scrivere con te è perché solo sono stanco e non ho più pazienza di stare con me stesso. 
Di cercare le parole giuste come fosse un compromesso per trovare pace dentro a un controsenso. 
Detto questo ti saluto ed una tua risposta attendo in un abbraccio tra me ed il mio peggior difetto.

Sigaretta all'alba di una notte insonne con il sole mentre sale sopra questo tetto ed apre la finestra una leggera brezza entra poi planando un piccione viaggiatore gli consegna dalla zampa una lunga pergamena. 
Scritti con l'inchiostro nero sono simboli che richiamano qualcosa oltre le semplici visioni tipo allucinazioni che lo guardano come fosse il target di uno stalker. 
E scrivevi con il male che sentivi e ghignando a denti stretti già tiravi i maledetti fili di una marionetta posseduta da fantasmi. 
E scrivevi con quella forma di sintassi che gira e rigira hai fatto prima a lanciargli una sfida e che in poche righe e con tono tra il divertito e il calmo faceva all'incirca così:

Buonasera niente da dire di me che in pratica conosco già tutto di te nel senso che forse sei più o meno simile a me ed è questo specchio la cosa più brutta che c'è ma ti dirò di più dicendoti anche il perché.
Sarebbe curioso se alla fine della nostra chiacchierata fossi tu a riscoprirti una persona limitata e chiusa che non vede altro che il dito quando gli indico la Luna. 
Se sei davvero convinto dell'opposto non aver premura di mostrarlo però sì dai fatti avanti ora senza paura.
Il mio nome un codice dal significato implicito e controverso questa è la mia firma con affetto per adesso puoi chiamarmi Maia.

Dopo questo si parlarono in tempi serrati notti fonde a scrivere e parlare stracciando fogli e lettere strappandosi promesse e confidenze come matti.
Se lui diceva autunno lei diceva primavera lui il tramonto mentre lei l'alba preferiva un dualismo che scindeva il loro mondo in notte e giorno tuto o niente bianco e nero.
Poi di punto in bianco lei prende le distanze ed indietreggiando si nasconde in un silenzio imbarazzante e che sembra senza senso. 
Lui bussando alle porte dell'inferno con insistenza e lei chiusa dentro che sospira e soavemente le spalanca con l'avvertimento:

Se vuoi sangue e morte resta pronto e tieni forte la presa questa sarà non la mia ma la tua guerra.  

Queste le parole per il via ad un gioco senza fine e vincitore che la resa non ammette ed oltre l'infinito una voce nella testa che pronuncia game over.

domenica 9 luglio 2023

Tutto per colpa della Luna.

Camminava a passo lento sulla riva sempre sottovento 
in quella notte fredda fuori e dentro era adesso buio pesto,
pensieroso malcontento troppo spesso spento e non a cento, 
con un pensiero nella mente così forte che lo sente dentro.

Una voce nella testa che gli dice: è tutto finto per davvero,
è chiara e forte ed urla sempre in modo fiero, ed ora si la senti
è come un acufene su di tono straziato da avvelenamento
eppure prima di spirare riesce ancora a pronunciare: è tutto finto. 

Alla luce della luna alza gli occhi e per la prima volta guarda e sente
in quel momento anche il cielo sembra alla fine solo un grande velo,
e la sabbia tra le mani scorre come una scarica di adrenalina che risale
il vuoto dentro lui aveva massa ed energia pari al numero di Graham. 

Con la sigaretta ancora tra le labbra, aspira avidamente fumo denso 
lo espira dai polmoni come un concetto che si defila dal ragionamento
che essendo tutto finto forse niente debba avere necessariamente un senso, 
è questo come l'accento della parola verità, quello che gli dà la musicalità. 

Con la voce ancora che riecheggia nella mente che gli taglia la ragione
si lascia andare e accasciandosi al suolo si porta le mani alle tempie
rannicchiandosi sulla spiaggia umida senza sapere più cosa sia vero e cosa no
la vista si offusca, i suoni si ovattano ed è ancora una volta intorno "niente".





venerdì 7 luglio 2023

Interruttore.

Sistema di recupero della memoria: ON.
Recupero delle informazioni in corso...

Voglio una fottutissima macchina del tempo per tornare indietro e scattarci una fotografia. 
Niente di più. 
Per poi tornare ad oggi e venire a bussarti alla porta di casa tua e mostrartela. 
Chiedendoti cosa ci vedi dentro. 
Sono certo che i tuoi ricordi hanno poco a che fare con la foto che ora tieni tra le mani. 
È una piccola immagine un po' sbiadita, stampata su di una carta scadente. 
Una fotografia sovraesposta alle stronzate che abbiamo voluto raccontarci.
Ma che abbiamo ascoltato reciprocamente con tanta, troppa avidità. Troppo a lungo.
Oggi ne resta solo l'eco che rimbalza da parte a parte. In una stanza che hai lasciato.
Una stanza che io sto arredando con le nostre migliori intenzioni. 
Appendo una cornice: ritrae quella foto. 
È lì, appesa. 
Per farmi ricordare 
di tutte quelle volte 
che ero convinto 
di avere ragione.

Ora l'ho capito.

giovedì 6 luglio 2023

Insonnia.

È tardi. Siamo gli unici a non dormire in questo posto. Agonizziamo nel lento scorrere del tempo, in una gabbia fatiscente e vuota che odora di rabbia. Evitiamo di incrociare i nostri sguardi, non reggeremmo di vedere riflessa negli occhi dell'altro un'ulteriore sconfitta. Quando capita che ci guardiamo lo facciamo con l'imbarazzo di accorgersi ciò che siamo diventati. Siamo fragili oltre che deboli e stanchi. L'insonnia ti toglie ogni cosa, anche i sogni. Ti da tuttavia la silenziosa pazienza per apprezzare le sfumature del cielo che si accende. Così tardi, così presto. Sembra tutto così lontano nella notte, soprattutto le preoccupazioni. Come se la notte fosse un mondo a parte, una realtà parallela. Le nostre vite sono rimaste nella parte del mondo che ora è illuminata. Qui, nell'ombra, è rimasto quello che siamo per davvero. Per quanto possa essere buia, una notte insonne qualsiasi, porta chiarezza su dettagli che solitamente non vengono colpiti dalla luce del sole. E tutto si lascia contemplare nel silenzio, da lontano, in quella terra di nessuno che non è ieri e non è domani. Ma sempre oggi. Abbiamo gli occhi chiusi, ti allungo la mano e non la vedi. Tu di ghiaccio nella notte non ti fai trovare. Alzo le spalle, mi accendo una sigaretta e trovo invece la calma. Gioco col caos e ne seguo l'ordine. Mentre tu immobile, mi fissi. Arriva l'alba, suona la sveglia e devo alzarmi per andare a lavoro. 

mercoledì 5 luglio 2023

martedì 4 luglio 2023

Gaslighting.

Sono stanco, tra le altre cose, di dover giustificare una costante e generale incomunicabilità con un sempre puntualissimo "forse non mi spiego". Una frase non detta ma vomitata. E la gente sembra sempre prenderla come un invito a svincolarsi dal dovere di capire. Per non parlare di tutte le volte che mi son dovuto sentir dire "tu non capisci" e mandarlo giù a forza, come un boccone già troppo masticato. Quando qualcuno mi dice "dobbiamo parlare" mi viene sempre un po' il prurito al cervello.
Diversi anni fa ho avuto uno scambio di mail con una persona che, in maniera molto intelligente, mi ha fatto riflettere sulla differenza tra il "parlare con te" ed il "parlare a te". All'epoca ancora non comprendevo a pieno questa sfumatura, mi ci sono voluti degli anni per farla mia. Tutt'oggi però la difficoltà nel trasmettere un messaggio qualsiasi resta concreta trascinando con sé diversi effetti collaterali. Tipo la frustrazione dell'isolamento. Non pretendo di essere compreso né tantomeno capito ma, Cristo, almeno ascoltato! Per non parlare di tutte le volte che mi son dovuto sentir dire "tu non parli". È vero, non parlo ma solo perché sono stanco marcio di dover essere io a giustificare l'incapacità degli altri di comprendere. Ognuno ha i propri limiti, su questo siamo d'accordo. Io c'ho i miei. Ma se vogliamo un vero scambio, un vero dialogo, accettiamoli e mettiamoli sul tavolo delle trattative invece di nasconderli dietro il mio fin troppo altruistico "forse non mi spiego". In quel momento mi vedo aprire un enorme ombrello che ci ripara tutti dalla merda che sta piovendo sulle nostre teste e, nonostante questo, passare sempre per lo stronzo che tiene l'ombrello per sé.
Ma forse non mi spiego.


sabato 1 luglio 2023


 

Psicosi sparse.

Mi chiedo se sia più coraggiosa la paura del nulla o la convinzione dell'infinito. Nel dubbio, scelgo il delirio.

Questo ragionamento è per molti ma non per tutti, ma io lo sbatto proprio qua sul blog. Alla luce del sole. Agli occhi di chiunque. 

Ci sono certi momenti in cui vorrei non credere in niente. Sentire il pieno controllo di me e della mia individualità. Dal punto di vista di un ateo (nel senso più ampio possibile) esiste solo l'individuo nella sua fragilità ed in bilico sul caos mentre schiocca in un battito di ciglia cosmico. Tralasciando che anche questa potrebbe essere una credenza più che una convinzione; trovo che vivere con questa idea porti queste persone ad un livello superiore, in un certo senso. Dico spesso che diffido da chi non crede in niente ma solo perché percepisco la loro come una visione limitata della realtà, resta tuttavia quella più funzionale all'esistenza. Nel momento in cui accettiamo e crediamo nell'esistenza di altro, entrano in gioco dinamiche complesse che sollevano domande e dubbi. Non parlo della cieca fede in un dio che giudica e nemmeno dell'esistenza o meno del paradiso e dell'inferno. Queste cose le lascio ad altri. Mi riferisco invece all'istante in cui prendi coscienza del fatto che regna un'equilibrata follia in ogni cosa. Ed è un attimo da lì a perdere la ragione. Quando intravedi il disegno, quando riconosci dei pattern nella tua vita di tutti i giorni e capirai che sarà così fino alla fine della tua vita, a quel punto non resta che tenersi forte. 

Da giovane ho attraversato un periodo in cui ero convinto che qualcuno volesse farmi del male. Oggi mi lascio andare all'idea che ci sono in gioco forze più antiche di qualsiasi altra cosa. Forze alle quali non possiamo sottrarci, un po' come essere soggetti alla forza di gravità. È inevitabile. 

Mi avevano detto che ero pazzo, che avevo enormi problemi. Ho provato rabbia, paura. Uno sgradevole senso di inutilità. Perché le cose che abbiamo in testa possono essere reali tanto quanto l'ambiente che ci circonda. Io ho lasciato che fosse affondato in me un coltello, che sentivo andare sempre più in profondità. E non potevo fare altro che guardare e sentire quel dolore farmi a brandelli. Oggi, invece, riesco quasi a gioirne. E questa ferita gocciolerà sempre un po' ma non m'importa. Da qualche parte doveva pure entrare, qualunque cosa sia. Che mi porta a guardarmi dentro e a riconoscermi fuori. 

Allego di seguito una canzone. Più chiaro di così...




L'infelicità è la forma che prende la consapevolezza dell'esistenza di altro.