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Tocca le mie ferite e credi nella mia sofferenza, non ho altro da dimostrare di ciò che è rimasto di una partita al gioco più folle al quale io abbia mai partecipato. Ma se hai pochi minuti da dedicarmi, ho una storia da raccontarti. Mettiti comodo.

mercoledì 12 luglio 2023

Fumo del passato.

Una notte come tante di diversi anni fa. La tv che parlava, trasmetteva il telegiornale della notte. Con la porta aperta per fare girare un po' l'aria calda di quell'estate. L'insonnia che batteva forte sulle tempie scandiva attimi interminabili. Mi lasciavo andare quindi nel modo in cui più mi piaceva.

Era una mia fragilità. Non riuscivo a vederlo come un "problema", mi ci sono voluti degli anni. Eppure era la compagnia che più preferivo a quei tempi. Mi permetteva di vedermi e quindi di centrarmi. Non saprei in che altro modo spiegarlo.

Il suono delle cicale sugli alberi, qualche moscerino che svolazza. L'odore della notte buia e quel sapore così forte in bocca da far grattare la gola. Le palpitazioni aumentavano, riuscivo a sentire distintamente il sangue scorrermi nelle vene. Il mio corpo si rilassava.

Prendevo distanza da me stesso e tutto ciò che mi ruotava attorno, riuscivo a contemplare ogni cosa dall'esterno senza lasciarmi trascinare dai pensieri. Questi scorrevano come una goccia d'acqua sul finestrino di un treno in corsa. 

Stavo andando lontano con nessuna intenzione di fermarmi. Qualsiasi direzione stavo prendendo, la percorrevo velocissimo. Mi solleticava la mente, avrei voluto in quel momento assaporare ogni attimo di quel viaggio. Non riuscivo a fermarmi.

Il bisogno di vedere le cose da prospettive nuove e diverse mi portava all'estremo. Volevo raggiungere a tutti i costi quella visuale privilegiata che mi avrebbe permesso di tuffarmi poi in picchiata contro la mia immagine, schiantandomici contro a tutta velocità. 

E ci avevo preso l'abitudine, perché mi piaceva sentirmi in quel modo. Vedere le cose in quel modo. Sentire il mondo in quel modo. Era un momento di leggerezza del quale non volevo privarmi, ma che poi così leggero non era perché ogni volta la mia mente andava lontano e non riuscivo a starle dietro.

Passavano i mesi, che diventavano anni. E non riuscivo a farne a meno. Era l'appuntamento fisso con un mondo parallelo, al di fuori del quale non ero più io. Ogni volta andavo sempre più il là ed ogni volta ne tornavo diverso, non riuscivo più a trovarmi fuori da quell'atmosfera. 

Avevo costruito una gabbia per tenermi al sicuro e non avevo intenzione di uscirne. Quegli spazi inziavano a starmi stretti e a puzzare di vecchio e logoro. Con i palmi stretti sulle sbarre di quella prigione guardavo il mondo chiedendomi quale fosse il dentro e quale il fuori.

Non c'era più niente. Non restava più nulla. 

Avvolto da un fitto fumo denso mi lasciavo andare come un pianista che improvvisa e suona ad orecchio. 


Okay, ma com'è possibile?