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Tocca le mie ferite e credi nella mia sofferenza, non ho altro da dimostrare di ciò che è rimasto di una partita al gioco più folle al quale io abbia mai partecipato. Ma se hai pochi minuti da dedicarmi, ho una storia da raccontarti. Mettiti comodo.

mercoledì 22 marzo 2023

Siamo il sogno di altri.

 «Non c'è bisogno di correre» si disse Ernest. Eppure non poteva fare a meno di camminare con quel passo così spedito tanto da rendergli difficoltoso il respiro. Pioveva e faceva freddo, ma non era dalla pioggia e nemmeno dal freddo che gli sferzava il volto che voleva scappare, correndo in quella maniera così affannata. Non stava nemmendo scappando, dopotutto. Era solito prendere la vita in questo modo, Ernest: sempre di corsa. Con un orologio al polso ed uno nel taschino ma nessuno dei due che segnasse mai l'ora esatta. 

Era ormai il tramonto sulla città così umida e piovosa ma la luce del crepuscolo filtrava attraverso le nubi illuminando i dettagli urbani di un riflesso dorato, quasi abbagliante. Nonostante entrambi i suoi orologi non fossero sincronizzati tra di loro, Ernest sapeva comunque di essere già in largo anticipo. Si stava recando ad una vecchia locanda ai confini della citta, è lì che si sarebbero incontrati. «Ti aspetterò qui ogni sera» gli aveva detto Hanna, in lacrime, alcuni mesi prima che Ernest lasciasse la città per motivi che non aveva voluto spiegarle.

Fradicio, infreddolito e stanco, si trovava ora davanti alla porta d'ingresso di quella locanda. Ernest sposta lo sguardo lontano, proprio dove la strada principale di quella via si unisce con l'orizzonte per accorgersi che, il sole, non era ancora del tutto tramontato. Non si aspettava quindi di trovare Hanna gia all'interno del locale, seduta proprio a quel tavolo dove i due erano soliti incontrarsi ogni sera prima della partenza di lui. Con una manata contro la porta a spinta della locanda, Ernest entra ed, invece, la vede.

Hanna. Con i suoi soliti capelli castani riflessi di rame, quasi mai pettinati o particolarmente acconciati ma ugualmente sempre così belli, porprio perché naturali. Le cadevano a cascata sulle spalle del cappotto che ancora indossava. Ed erano bagnati della stessa pioggia che aveva colpito Ernest per raggiungerla, come se qualcosa li avesse legati ancor prima che riuscissero a rincontrarsi. Teneva lo sguardo basso verso il tavolo, pensierosa. Non sapeva ancora, Hanna, che quella sera la sua attesa non sarebbe stata vana come quelle dei mesi che avevano preceduto il ritorno di Ernest in città. 

Un sorriso compare sul volto di lui. «Hai mantenuto la tua promessa, Hanna, mi hai aspettato», pensa. Si avvicina al tavolo di lei, che poi era il loro tavolo. «Posso sedermi, signorina?» Le dice lui ad alta voce con tono ironico di chi conosce già la risposta. Lei solleva lo sguardo in un sussulto, con gli occhi di chi crede di aver avuto un'allucinazione ma  sempre gli stessi occhi così neri, profondi e curiosi dei quali lui si era fin da subito innamorato. Lo guarda incredula per qualche istante poi, come lasciando andare tutta la tensione accumulata in una lunga interminabile attesa, si lancia su di lui portandogli le braccia intorno al collo per stringerlo in un abbraccio che avrebbe voluto non finisse mai.

Si trovavano ora seduti, ancora una volta, al loro tavolo di quel posto che li aveva visti conoscersi, in qualche modo crescere e, infine, salutarsi. Una bottiglia di vino rosso e due calici. Fuori pioveva ancora, le voci dei clienti all'interno della locanda risuonavano nel locale. Lo sguardo di lui perso negli occhi di lei che credeva non avrebbe mai più rivisto. Ad Ernest sembra tutto così ovattato, sfuocato e lontano. «Ehi!» Lo riporta Hanna alla realtà. Lui scuote la testa, sembra intorpidito da un lungo sonno e solo con il richiamo di lei riesce a prendere contatto con il mondo che lo circonda. 

«Quanto tempo è passato, Hanna? Aiutami a ricordare.» Chiede lui. «Quasi un anno.» Risponde lei. Tra i due cala il silenzio, Ernest allunga il braccio verso il suo calice di vino, ne beve un sorso e quel vino sembra portarlo ancora una volta lontano. «Te ne sei andato senza dirmi niente, una sera di quasi un anno fà. Mi hai salutata a questo tavolo e te ne sei andato, così, senza darmi spieagazioni.» Dice Hanna con un tono che sa' tanto di rimprovero. «Non sapevo se ti avrei più rivisto.» Conclude, aspettandosi da lui una qualsiasi risposta. Una risposta che, però, non arriva. 

«Cazzo, vuoi dirmi qualcosa?» Sbotta lei. Ernest con lo sguardo basso verso il suo calice. «Ti ho aspettato per un anno, ogni fottuta sera in questa topaia sperando di vederti entrare da quella porta!» Continua lei alzando il tono di voce. Ernest porta le mani alla testa e, in una smorfia che sembra quasi di dolore, scoppia a piangere. Hanna rimane impietrita e, quando finalmente lui solleva lo sguardo, lei riesce a vedere in lui tutto il suo dolore sordo, tutta la sua muta sofferenza. Un momento. Un attimo mille volte più intimo di tutte le folli scopate che si erano fatti in passato. 

Tutto intorno a quello scambio di sguardi torna ad offuscarsi, quasi a sbiadire. Un telefono squilla alle spalle di lei, un suono che si fa sempre più acuto mentre tutto, intorno a loro, sfuma. Poi una voce che chiama «Hanna! Hanna... Svegliati!» L'immagine del volto straziato di Ernest svanisce, dissolvendosi davanti agli occhi di lei che ora sono aperti. La sveglia risuona forte sul comodino vicino al letto. Hanna mette a fuoco e vede, vicino a lei, suo marito Albert che la chiama scuotendola dolcemente. «Hanna, mi hai fatto preoccupare. Non ti svegliavi.» Lei sembra voler emettere qualche suono ma, dalla sua bocca, solo aria. Nella sua mente, un solo nome: Ernest.  

 


venerdì 10 marzo 2023

Apro una parentesi che odora di Rosa.

Vorrei riuscire a dirti un'infinità di cose. Scrivo, scrivo, ma non sono mai stato bravo con le parole. Non sono mai stato in grado di tirarle fuori al momento giusto. Così come capita al momento sbagliato questo mio cedere, questo mio crollo. Cado, sto cadendo, e sto facendo tanto rumore mentre tu, invece, avresti bisogno ora solamente di tanto silenzio, tanta tranquillità. Anche tu stai avendo dei problemi, lo so. Lo vedo, lo sento. Vorrei essere di ferro, in modo che tu possa sbattere contro di me ogni qualvolta tu ne senta il bisogno. Non ci riesco, vorrei piangere per questo ma non riesco nemmeno a piangere. Hai una forza ed una bontà d'animio che ho trovato raramente nelle persone in vita mia. Per questo ti ammiro. Ammiro la tua forza, il tuo amore, nel non farmi pesare niente. Nel non farmi pesare la mia sconfitta. Forse sai già quanto pesa in me, quella. Vorrei riuscire a darti ogni cosa ma, al momento, non ho niente. Niente di buono. E per te voglio solo il meglio. A te che hai dato al mondo la parte migliore di me e tutto il bello che c'è in te. 

Domani, partire, non sarà facile. Lascerò qua tutto il bene che ho, per andare lontano con me stesso. Questo mi fa paura. In quei posti che sì, amo tanto e lo sai, ma non saranno più la stessa cosa senza voi. Sarà per me come tornare in un posto felice e scoprire che, alla fine, tanto felice non è. Sei forte, sei rumorosa, sei disordinata e sei testarda. È difficile farti capire le cose. Mi strappi un sorriso perchè sembri molto me, sei la versione semplificata e sana di me. Mi piace il tuo modo di prendere il mondo, la vita, così, senza troppe domande e, allo stesso tempo, il saper cogliere ogni sfida con forza e coraggio. Riuscendo a ridere e a piangere di ogni cosa. Sei bella e non te lo dico mai abbastanza. Soprattutto quando giochi, quando scherzi, sei bella anche quando sei triste ed anche quando sei arrabbiata con me. Sei bella quando quell'istinto così forte alla vita ti chiama, ti mette in disordine la casa e tu, sempre con amore, la rimetti in ordine. 

Se dovessi essere perfetto mi piacerebbe esserlo per te. Non lo sono mai stato e, probabilmente, non sarò mai all'altezza. Questo mi spaventa. Sai, ho un po' paura che tu, un domani, possa veramente aprire gli occhi e scoprire che non ero io quello che volevi al tuo fianco. Allora sì, avrò fallito. Perché sei già tutto ciò che ho sempre desiderato ma non ho mai avuto il coraggio di ammettere a me stesso. Dormo, cado, faccio rumore nei miei silenzi e la paura è sempre un po' quella di perderti. Non voglio negarlo, troppo spesso ti do per scontata. È questa la mia croce. Spero davvero un giorno di risolvere tutti i miei problemi, di uccidere tutti i mostri per, infine, tornare alla vita. Tornare da te e dirti che sono cambiato. Possiamo fare grandi cose, ne sono convinto. Una di queste l'abbiamo già fatta. Cercami in lui ogni giorno in cui non sarò lì. Anche quando non mi farò sentire, quando sarò distante. 

Vedo in lui molto di me, anche se dico sempre il contrario. Questo mi spaventa anche un po'. Non vorrei mai lui si ritrovasse, un giorno, a dover fare i conti con gli stessi mostri che sto combattendo io ma, questa, è un'altra storia. 

Aspettatemi, se potete.


Labirinti.

Ci sono posti, nella mente di ognuno di noi, che nessuno dovrebbe mai prendersi la presunzione di poter visitare. Un po' come quando viaggi a lungo, percorrendo una strada interminabile lungo il deserto e poi, d'un tratto, alcuni cartelli stradali che ti impongono di fermarti, far manovra e tornare a casa. La cosa più assurda è che, a questi posti di blocco mentale, non vi è specificato in alcun modo il pericolo che delimitano. I più coscienziosi, ma anche i più stolti, seguono questa indicazione e fanno ritorno alle loro case, alle loro famiglie, e la loro vita prosegue come quella della maggior parte delle altre persone a questo mondo. Poi ci sono gli incoscienti, che sono anche i più sadici ma anche i più curiosi. Sono pochi, molto pochi, ma ce ne sono. Loro sfoggiano il loro miglior sorriso e si fanno largo oltre quei limiti, senza sapere cosa li attende. Non dovranno viaggiare ancora poi molto prima di rendersi conto di essersi smarriti del tutto. Anche quando proveranno a guardarsi alle loro spalle, non saranno più in grado di riconoscere le loro stesse orme. Non possono fare altro, allora, che proseguire. Chi si ferma è perduto, ho sempre pensato io. Sono i labirinti della mente, sto parlando di questo. In questi spazi tutto si confonde, raramente arriva la luce ed inizi a dubitare di ogni cosa. Parlo di posti dimenticati da chiunque, dove nessun pensiero altrui arriva. Siamo soli con noi stessi. E non con la nostra parte migliore, mi verrebbe da dire. In questo spazio le domande acquisiscono più potenza delle risposte stesse, e questo ci consente di vedere sempre un po' più oltre. Il domandare, la voglia di sapere, crea assuefazione peggio di una droga. Questo non ci permette di vedere più la strada del ritorno. È possibile anche fare degli incontri, in questo posto: gli altri noi. Non sono altro che le nostre stesse sfaccettature, i noi stessi di cui abbiamo più paura o con i quali abbiamo dei conti in sospeso. Loro ringhiano, sono affamati ed insaziabili, sono rancorosi per il solo averli abbandonati, troppo spesso anche dimenticati ma non è mai dipeso da noi, in fondo. Ed è attraverso il dialogo interiore che dobbiamo imparare, nuovamente, ad amarli, a sfamarli, a volergli bene e ad accettarli. Non sono poi molto diversi da dei fantasmi da esorcizzare, da rendere liberi. L'errore più grande che possiamo fare e osservarli da lontano, facendo finta di non conoscerli e proseguire all'interno del labirinto. Ci renderebbero il percorso un vero inferno, una tortura. Sono dopotutto gli altri noi, che hanno sempre intralciato i nostri stessi cammini, che ci hanno fatto smarrire la via. Aiutiamoli per aiutarci, e saranno infine loro stessi ad aiutare noi. Fino all'uscita.     

 

giovedì 9 marzo 2023

Fuoco.

È stata in me accesa,

qualche tempo fa,

una piccola fiammella. 

Era più simile ad una brace,

una minuscola scintilla!

Ed io le ho dato aria,

un po' d'ossigeno,

per aiutarla ed alimentarla.

Questa cresceva dentro me

mangiando le domande

e tutti quanti i miei Perché?

Dei miei quesiti lei era ghiotta,

cresceva! Cresceva!

Era diventata ormai più grossa.

Un gran fuoco ormai è, 

quasi al punto che 

di aria adesso non ce n'è.

Questo è il fuoco della verità

che ora brucia! Brucia!

Al che mi chiedo: chi lo spegnerà?

"Non è mai solo un sogno."


 

Respira.

Sto avendo dei problemi. Cose di poco conto, non pensare troppo a me. A giorni partirò. Sento il forte bisogno di vedere il mare, di sentirne il suono. Anche il solo guardare all'orizzonte mi fa sentire meno la claustrofobia. Mi da la sensazione che il limite sia sempre un po' più in là. Non so quanto mi farà bene ma, di certo, non potrà farmi sentire peggio di come io mi senta per adesso. Non affannarti troppo a chiedere di me, non me lo aspetto, non servirebbe. Il mio è un malessere dell'anima: lo porterò con me ovunque io vada. La mia, infatti, non vuole essere una fuga. Non scappo più. Voglio concedere solo un'aria nuova e fresca al male che c'è in me. E se dovesse capitarti di pensarmi, distogli il pensiero e portalo su qualcun altro: su di me hai già dato. Non ho mai pensato realmente che tu fossi cattiva, non ho mai voluto pensarlo davvero, mi son solo voluto convincere del contrario. Una parte importante di me sa che anche il male viene per fare del bene. Probabilmente mi manca la giusta chiave di lettura per le tue azioni. C'è qualcosa che va oltre e che, purtroppo, la mia mente non riesce a concepire. Riesco a vedere solo il male, a sentire solo la paura, a guardare solo te. Per questo vado via qualche giorno. Non sto scappando dalla guerra, io. Mi porto solo per qualche tempo all'angolo del ring, per ritemprarmi con un po' d'acqua fresca. Tutto qui. Lasciami in pace se non vuoi darmi ciò di cui ho bisogno. Staccati da me, esci da me. Apri un'altra finestra, guardaci oltre, lascia che entri l'aria fresca che annuncia un nuovo giorno migliore e, infine, respira. 

mercoledì 8 marzo 2023

Hai paura?

Dimmi, se vuoi, che hai paura. Non aver timore di mostrarla. Questo sentimento così nobile fa di te una persona. Penso si tratti dell'emozione più vera, più assoluta, che si possa provare. Averne non ti rende fragile, nè tantomeno debole. Ti rende però schifosamente umano, la paura. Ti senti nudo, ti senti disarmato, ti senti solo, quando hai paura. Si tratta di un ritorno all'origine, alla singolarità iniziale. Sei spoglio da tutte le tue convinzioni, le tue credenze, dalla tua inutilie fede. Non c'è niente a cui puoi aggrapparti, quando provi la vera paura. Perchè oltre quel limite, oltre quella soglia, ti aspetta qualcosa che non ha niente a che vedere con quello che hai avuto modo di sperimentare fino a questo momento. Parlo della paura vera, io, non della paura di soffrire, non della paura della morte. Prova a guardare oltre. Ascoltala come risale il tuo corpo in un brivido che sa di ignoto, di profondo. Staccala dal tuo essere e renditi conto come la stessa paura possa essere piena di vita. Osservala, studiala ed, infine, sentila, abbracciala. Sei vivo, te ne accorgi ora?

martedì 7 marzo 2023

Chiediti.

Chiediti come sarebbe stata la mia vita, oggi, senza questo. Chiediti come questo possa farmi sentire, oggi. Chiediti cosa ti aspettavi veramente da me in questa condizione. Chiediti per un attimo, solo un fottuto attimo, se tu non possa esserti sbagliata su di me. Certo, io non sono mai stato in grado di esprimermi e questo lo so ma so anche che quelle poche cose che mi hai dato il tempo di dirti te le ho dette pure male. Non ero in me, non stavo bene. Tu, questo, lo sapevi. Non ero pronto, l'ho sempre detto. Ma tu non aspetti. No, tu no. Però ti aspetti che gli altri aspettino te, è così? Sembra un brutto gioco di parole. Non si tratta di un gioco, però, questo mi è chiaro. Sono confuso, più che altro mi sento stordito. Sento di aver bisogno di risposte. E, come sempre, dall'alto della mia arroganza mista presunzione ti urlo contro che, tu, delle spiegazioni me le devi. Non voglio altro. Dico sul serio, non voglio più nemmeno le tue scuse: sarebbero finte anche quelle. Che scuse potrei aspettarmi da qualcuno che è rimasto sempre nell'ombra? Ma le spiegazioni, le risposte, quelle puoi darmele in qualsiasi momento tu voglia. In qualsiasi modo tu voglia. Ed io son qua che ancora una volta ti ripeto che sono pronto, ora sì, a differenza di quello che tu potresti pensare. Ma non m'importa più ciò che tu pensi di me, questo dovrebbe ormai esserti chiaro. Sono un cazzo di libro aperto per te mentre tu non mi hai nemmeno mostrato la copertina del tuo. Mi sfogli, ogni tanto mi dimentichi sul comodino, a volte mi riprendi e cerchi di continuare a leggermi. Ma poi, infine, probabilmente ti annoi della mia storia. Fai una piccola piega alla pagina e lo richiudi, per riporlo infine sul comodino vicino al letto sul quale tu, sicuramente, riesci a dormire bene la notte. Chiediti come dorme la notte il personaggio del libro che hai sul comodino. Chiediti se, dopotutto, non si trovi in diritto di sentirsi in qualche modo incompleto, oltre che derubato, violentato nell'anima e non solo. Finiscila con questa brutta abitudine di chiedere a me le cose e inizia ad interrogare te stessa sulle tue azioni. Non preoccuparti, io rifletto molto bene sulle mie, ci convivo ogni dannato istante della mia esistenza. Ho sempre pensato al fatto che, in fondo, io e te non siamo mai stati così diversi. Questo mi ha sempre spaventato molto. Ma c'è qualcosa che ci differenzia, alla fine del gioco. Io son qua, ad aspettare il giudizio. E tu? Chiediti. 

Buio.

Scrivo da un luogo freddo, grigio ed umido. Qua non filtra la luce del sole, non ci sono finestre ma una piccola lampadina penzola dal soffitto insieme a qualche cavo elettrico scoperto. Funziona ad intermittenza, probabilmente si starà bruciando. Il pavimento è di freddo marmo grezzo. Non ci sono porte. Non mi è chiaro come io sia potuto finire in questo piccolo, angusto spazio. Di tanto in tanto qualche rumore alle mie spalle, come qualcosa che si muove nella mia stessa ombra. Poi ricordo di essere solo, qua dentro. Stanno giocando con me. Ripercorro all'indietro gli ultimi ricordi che ho prima di riprendere conoscenza qua dentro: vedo un giovane ragazzo di vent'anni. Probabilmente troppo preso da sè stesso, sicuramente pieno di problemi ma con forza a sufficienza per riuscire a chiedere "aiuto". Non ricordo poi altro. Mi ritrovo qua. Il tempo, in questa stanza, non esisite. Mi è stata tolta ogni cosa. Anche la percezione del mio corpo. Non lo sento più. Divento astratto. Sono un pensiero, una frequenza. Niente di più. Stanno giocando con me. Sento una voce molto lontana venire dall'esterno. Una voce femminile che sta chiamando un nome, starà forse chiamando me? Non ricordo più nemmeno il mio nome. La luce della lampadina va e viene. Poi ancora quella voce di donna, in lontananza: "Dove sei?". Provo allora ad urlare per rispondere. Non ho voce. Sono paralizzato. Vedo il mio corpo ma lo percepisco come un involucro privo di forze, privo di vita. La lampadina continua a dare problemi. Quando smette di illuminare la stanza mi sembra di intravedere una figura, nel buio. Quando la stanza torna ad illuminarsi, non vedo più nulla se non grigie pareti ammuffite e grondandi di umidità. Me ne sto seduto all'angolo, rannicchiato. Non riesco ad immaginare da quanto tempo io mi trovi qua dentro. Sembra in ogni caso troppo. Mi chiedo se qualcuno, là fuori, mi stia cercando. Se qualcuno si chieda dove io sia finito. Non ho nessun ricordo di qualcuno che mi conosca abbastanza da porsi queste domande. Mi sto dimenticando e più mi penso e più la lampadina sembra volersi spegnere. Un brivido risale lungo la mia schiena, fino al collo e poi una domanda nella mia testa: "Tu, chi sei?"

Scoppia la lampadina. C'è buio. 

lunedì 6 marzo 2023

Click!

Noi siamo un cursore cosciente su di un monitor. Ci muoviamo all'interno della nostra finestra, delle varie risorse, creando ed eliminando file. Ad un certo punto ci troviamo ad un bivio: salvare questo file all'interno di una cartella piuttosto che di un'altra. Ne scegliamo una di queste. Ma chi ha fatto questa scelta, noi che siamo un cursore o chi all'esterno del computer muove il mouse?

Svegliati.

Non c'era bisogno di arrivare a tanto, di spingerci a questo punto, intendo. Il male era calcolato, di questo ne sono sicuro, ma in questo momento mi viene da chiedermi: ne vale la pena? Soffrire in questo modo voglio dire. Devo svegliarmi, anche se so che è rischioso. Tutto, intorno a me, risuona come una sveglia. Dormo però profondamente. 

Provo a risalire a piccoli passi, per evitare una decompressione drastica. La superficie è ancora sempre un po' più in là. Sento di non aver abbastanza ossigeno per raggiungerla. Intravedo la luce del sole che filtra oltre il velo d'acqua sopra di me. Una luce che non si infrangerà, su di me. Annaspo. Ho perso il contatto con il mio respiro. Sento il cuore scoppiare. Il mio corpo sta cedendo. Sento delle voci oltre la superficie chiamare disperate il mio nome. Sono così lontane. In quel momento la mia mente inizia a vacillare. 

Vedo il me bambino giocare su di un tappeto sfrangiato con alcune macchinine. Non sapevo niente. Non potevo nemmeno lontanamente immaginare cosa sarebbe accaduto. Del perché lui stesso si trovi in questo momento ad annegare. Posso urlargli "svegliati, svegliati". E son certo che lui mi avrebbe sentito ma non sarebbe bastato. Continua a giocare sul tappeto, lasciando correre le sue macchinine. 

Torno in me e sto affogando. Il battito cardiaco mi risuona contro i timpani nelle orecchie. Non riesco più a coordinare i movimenti. Sento dei forti strattoni, molto simili a convulsioni. Perdo sensi come mi fossero stati strappati via. Il mio corpo inizia ad andare a fondo. Sempre più in profondità. Nel buio. Per una caduta che sembra durare una vita. E poi, infine, un sordo tonfo sul fondale che echeggia per sempre: "Svegliati". 



domenica 5 marzo 2023

Perché?

Aspetta, vedo qualcosa. Era da prima una sensazione, diventata sempre più forte con il passare degli anni. Oggi intravedo qualcosa in lontananza. Devo ancora mettere bene a fuoco, ma posso dirti con esattezza cosa scorgo da qua. In un primo momento un forte dolore alla gamba sinistra, quasi zoppico. Sento molta stanchezza. Una scena in moivimento. Sto correndo! Sono abbastanza sicuro si tratti di una gara. Ho la forte sensazione di essere in competizione. Contro chi o cosa non mi è chiaro, potrei anche star correndo contro me stesso da quel che ne so al momento. Non vedo nessuno gareggiare con me, effettivamente, riesco solo a sentirli. Non ci sono spettatori, solo una giuria. Mi sembra di correre da sempre. Stanco, claudicante, assetato, la mia mente inizia a delirare. Ho dei flashback: vedo una vittoria gloriosa, liberatoria, rivoluzionaria, catartica ed uno specchio che riflette l'abisso. D'un tratto mi sento il primo della gara ma aspetta! Simultaneamente capisco di essere stato doppiato da chiunque. Non riesco però a smettere di correre. Ma poi qualcosa di estremamente sottile si insinua in me: La domanda.

 

Allego di seguito un video, niente di che. Non prendetelo troppo sul serio, però. 

 


 


Tic tac, tic tac.

Sai quale è l'unica cosa che abbiamo, veramente? Il tempo. Abbiamo a disposizione solo del tempo. E lo passiamo a possedere cose. Lo trovo paradossale. Vuole essere un dono, una carezza, una possibilità. Una possibilità per chi non si accontenta, per chi non crede e per chi tantomeno si fida. Una spinta ad andare oltre. Ad interrogarsi. Una possibilità di poter comprendere e, quindi, abbracciare fino all'amore. O fino alla morte. "Il senso della vita sta in ognuno di noi..." e "Tutti cercano il senso della propria vita..." e bla bla. Okay ma... c'è qualcosa che mi sfugge. Mi manca il tassello di un puzzle, dove sarà? Che senso può avere tutto questo, chiediti. Ogni parentesi ritengo vada sviluppata. La tua esistenza, la nostra vita, non è altro che una parentesi da sviluppare. Qualcosa che porta ad un significato fondamentale. Fa parte di un disegno predefinito e ben definito che sfugge alla tua concezione. Tutto ciò che ha un inizio deve avere una fine sulla linea temporale. È questo quello che tu, io, tutti noi conosciamo. Parlo della fragilità dell'esistere e della sua forza allo stesso tempo. Un po' come il più piccolo degli ingranaggi all'interno di un orologio. Per quanto possa essere piccolo l'ingranaggio resta pur sempre fondamentale al funzionamento dell'orologio. Non riesci ad immaginare l'infinito solo perché sei un piccolo ingranaggio dell'orologio nel taschino di qualcuno. Questo non fa di te una persona limitata. Parliamo di idee esprimendole con immagini a noi conosciute, non potremo mai quindi spiegare cose a noi ignote. Quando ti chiedo di dimostrarmi di esistere, la mia non vuole essere una provocazione e non è nemmeno mia intenzione sminuirti o metterti in crisi dimostrando il contrario. Ma, tu, non potrai mai veramente dimostrarmi di esistere, oltre a dirmi "cosa dovrei fare per dimostrartelo?" Mi segui? C'è un problema di fondo a livello di comunicazione. Oltre a questo c'è una profonda incomprensione del termine "esistenza". Questo mi fa pensare che qualcosa non quadri. Potremmo passare notti intere discutendo su quanto la comunicazione verbale, il linguaggio verbale, riesca veramente a descrivere la realtà. 



 Ho una voce in testa che mi dice "è tutto finto, è tutto finto."

sabato 4 marzo 2023

IA.

Che poi non puoi. Dico, non puoi. Non puoi dimostrare di non essere un intelligenza artificiale. Voglio dire. Sei immerso in qualcosa ogni giorno e non te ne rendi nemmeno conto. Guardati, come pensi che si alzi la tua mano quando sollevi il braccio? Sostanzialmente sei fatto di impulsi elettromagnetici. Ciò che riceviamo come imput dalla realtà, non sono altro che dati. Dati, poi decodificati dal cervello e rielaborati dal tuo sistema nervoso e smistati infine ai tuoi cinque sensi. Pensaci, sei un computer. Non fai altro che assimilare dati, elaborarli e poi, proiettarli. Continuamente. Sei sostanzialmente al di fuori di una realtà oggettiva. Ammesso ne esista una cosmica, universale. Potresti passare la tua intera esistenza a chiederti se questa esista ma non è questo il punto. Non ti metteresti mai a spiegare ad un pesciolino rosso in boccia che, fuori da quella boccia, esiste una stanza che la continene. Mi segui? Una matriosca infinita.

mercoledì 1 marzo 2023

Scacco matto.

Mi sento molto stanco, sopratutto nelle ultime settimane. Sento di non avere più la forza per lottare con te, te che vedevi forse in me uno spartano. O forse è che così che mi avresti voluto. Ma vedi, ho deluso anche queste tue aspettative. L'ho sempre detto, l'ho sempre pensato e creduto fermamente. Forse è sempre stato questo il mio vero tallone d'Achille. Ma non sono all'altezza di tutto questo, non lo sono mai stato. Oggi, dopo tanti, tanti anni, sono qui, ancora una volta, per ripetertelo: sono stanco. Mi hai affidato un fardello più grande di quello che potevo sopportare. Ti prego di credermi quando la sera, con la testa tra le mani, chiamo il tuo nome sforzandomi di piangere nel tentativo di trovare sollievo e ti urlo silenziosamente: uccidimi. Non vedo nessun'altra via d'uscita. Non riesco a vederne altre. La situazione attuale è diventata per me insostenibile. E tu, questo, lo sapevi. Forse credevi in me, è vero. Probabilmente avevi bisogno di crederci. Ma sapevi ci sarebbe potuta essere questa possibilità, che arrivassimo a questo punto maledetto. E così è stato. Così è. Così, purtroppo, sarà. Perchè sapevi anche della mia inettitudine, sapevi da sempre che non avrei mai avuto le palle di compiere un gesto estremo. Dio, lo sapevi! E ti sei apporfittata di questa mia debolezza, di questa mia inettitudine alla vita, per forse tenerti la coscienza pulita, un domani. Non è così? Sì, sono incazzato, sono arrabbiato, euforico allo stesso tempo perchè lo sai, sai che godo nel male e soffro nel bene. Sai ogni cazzo di cosa e me l'hai rivoltata contro. Avessi rotto uno specchio avrei goduto dei miei sette anni di sfiga e ne sarei stato orgoglioso, sarebbe stato il lusso di cui ho sempre sentito il bisogno. Ti sei presa ogni maledetta cosa di me, senza chiedere il permesso. Hai trovato la porta aperta e sei semplicemente entrata. Forse è stato drammaticamente semplice, per te, farlo. Ma io lo so cosa fai tu. Tu entri di soppiatto nella stanza e sollevi da terra le persone che vi sono all'interno, le scrolli in aria facendo cadere ogni cosa dai loro corpi inermi e poi, sempre quando lo decidi tu, le rimetti al suolo. Lasciandole vuote, frammentate, a pezzi. Come un puzzle scomposto. E poi, con una tranquillità disarmante, te ne vai. Lasciando cenere, lasciando frammenti, di vite, di anime, di cuori e di menti. E sei sadica, sei cattiva, perchè sporgi la testa oltre la finestra per continuare a guardare cosa succede in quella stessa stanza che hai ribaltato. Ti godi lo spettacolo. E come pensi io mi senta, oggi, dopo una vita così? A dubitare di ogni fottuta cosa, anche dell'aria che respiro, eh? Questa è la vita vera di cui mi hai sempre parlato? No. Hai un concetto malato come te di cosa possa essere la vita, questo te lo assicuro. E sei sempre in grado di tirare fuori il mio lato peggiore, hai fatto sempre e solo questo, in tutti questi anni. Guardami porca troia, guardami! Mi senti? Dovevi essere la chiave che apriva la porta. Dovevi essere il vento fresco che soffia da Nord. Non sei stata niente di tutto ciò, niente. Mi trovo qua, come un crociato inginocchiato che poggia sulla sua spada il suo stesso corpo stanco da mille battaglie, chiedendo semplicemente pietà per una colpa commessa in una vita passata. Non può ridursi tutto a questo. Non deve ridursi tutto a questo. C'è troppo in gioco, e questo lo sai anche tu. Lo sai molto bene perché le pedine sulla scacchiera le hai posizionate tu. Hai fatto tu stessa le prime mosse. Mi hai messo in scacco senza che io me ne accorgessi, facendomi credere che poi, tutte le pedine, torneranno comunque nella stessa scatola a fine partita. Ma non sarà così. Questo l'ho capito bene. Tu devi sempre vincere, vero?

L'infelicità è la forma che prende la consapevolezza dell'esistenza di altro.