Player

Tocca le mie ferite e credi nella mia sofferenza, non ho altro da dimostrare di ciò che è rimasto di una partita al gioco più folle al quale io abbia mai partecipato. Ma se hai pochi minuti da dedicarmi, ho una storia da raccontarti. Mettiti comodo.

mercoledì 31 gennaio 2024

Play #2.

(INTERFERENZA)

Mi è impossibile non ripensare, tutt'oggi, a certe cose che mi sono accadute. Lo sarebbe per chiunque, immagino. Penso inoltre sia questa la spinta vitale della quale parlo spesso: la conoscenza. L'essere umano è curioso e questo gli ha permesso, nel corso della sua esistenza al mondo, di scoprire. 

(INTERFERENZA)

Quando ero molto piccolo dicevo che da grande mi sarebbe piaciuto fare l'astronauta. A quell'età vedevo l'uomo come un "terrestre"; ritenevo che la cosa più elevata che un essere umano avrebbe potuto fare, sarebbe stata esplorare quel che c'è "fuori". Dopodiché mi convinsi che l'essere umano fosse, sì, terrestre ma che avrebbe dovuto invece esplorare "l'interno". A quel punto cominciai a dire che da grande avrei fatto l'esploratore.

(INTERFERENZA)

Questa non è una voglia di "sapere", è invece una necessità di dover "capire". Capire, nel senso più profondo del termine. Ed è una cosa sana perché si specchia nella conoscenza che persegue il progresso. Non parlo esclusivamente di progresso tecnologico, scientifico e nemmeno di progresso "umano". È una cosa molto individuale, intima, che diventa personale. Qualcosa che ha a che fare con il benessere di chi fa l'esperienza di comprendere a pieno una cosa importante per chi la vive. E probabilmente anche per molti. 

(INTERFERENZA)

lunedì 29 gennaio 2024

L'impossibile.

E se clonassimo Dio, cosa saremmo?

Chissà.



Te lo rispiego.

"Un muto, dice ad un sordo: c'è un cieco che ci guarda."

Un anno dopo - Dalla parte del lettore.

Scrivo ed è una cosa che mi piace fare, e che non faccio esclusivamente per me. Non mi considero abbastanza "bravo", anzi, ma non è questo il punto. Sento che scrivere, in un certo senso, serva. Che sia addirittura necessario. Stiamo tutti affrontando un "viaggio" e potrebbe rivelarsi poi "utile" ritrovarsi con un "diario di bordo" perché non ci stiamo concedendo una "vacanza". Stiamo facendo delle esperienze, non sempre belle. Che spesso ci toccano profondamente ad un livello che non siamo ancora in grado di spiegare perché a noi incomprensibile. Scrivendo la nostra "vita", anche quella più apparentemente banale o scontata trova un "senso" perché possiamo "interpretarla" e, quindi, farla nostra. Comprenderla, in un certo senso. E le storie, tutte, sono intrecciate tra loro. Niente accade per "caso". Nemmeno che tu, chiunque tu sia, ti trovi ora a leggere queste righe. È buona cosa capire che ogni volta che noi viviamo (cioè sempre), quindi percepiamo e reagiamo in relazione agli input che riceviamo, facciamo "vibrare" le trame. Quando dicono che tutto è collegato è, in un certo senso, corretto. Scrivere questo blog serve a me per toccare determinate "corde" in chi, per "caso", è finito a leggere un determinato post in questa parte sperduta e dimenticata del web. 
Questo blog è lo specchio che riflette il mio ultimo anno. C'è stato un "prima" ed un "dopo". Sto raccontando il mio viaggio. Lasciando un significato ai passanti sul mio cammino. E questo lo faccio a modo mio: scrivendo. Il più delle volte cose per lo più incomprensibili e me ne rendo conto. Un anno dopo mi rileggo e alcune cose da me scritte mi sembrano così "lontane" ed altre così stranamente "vicine". Ma sono tutti punti che ho toccato in questo gioco dell'unire i puntini. 
Non ho intenzione di abbandonare il blog.

Conversazioni di vita vera, ne abbiamo?

E tu, come vedi il bicchiere? Mezzo pieno o mezzo vuoto?


Bicchiere? Non vedo nessun bicchiere. 

domenica 28 gennaio 2024

Sta suonando la sveglia, la sentite anche voi? Sbrighiamoci o sarà tardi. 

A quella porta, ora socchiusa.

So di essere troppo spesso duro e, a tratti, rancoroso. Non riesco tuttavia ad "odiare" nessuno, per quanto a volte (forse) vorrei esserne capace. Io quindi non ti odio perché mi hai ucciso. Era nelle tue possibilità farlo e così hai deciso di fare. Ma lo hai fatto con l'arma che più sapevi mi avrebbe fatto male. Colpendo quel punto che pensavo essere invisibile e al sicuro. Tu hai colpito lì. 


Ti stai allontanando 

ed io che ti guardo immobile 

mentre urlo il tuo nome. 

Non mi ascolti 

e continui ad allontanarti. 

Infine, 

proprio quando desisto 

e mi giro per andarmene 

nella direzione opposta, 

torni sui tuoi passi 

e di corsa mi raggiungi, 

colpendomi alle spalle.

Tra il mazzo di chiavi.

Non ho uno scrigno senza possedere la chiave. Ho una chiave senza sapere cosa possa aprire. 

Non mi è stata tramandata e nemmeno l'ho trovata, mi è solo stata data al termine di un curioso incontro. Non l'ho chiesta io, mi è stata donata da qualcuno che, apparentemente, mi conosceva bene.
Per un periodo sono andato fiero di questo dono, senza tuttavia capire bene cosa farmene e senza nemmeno pormi il problema di dover usarlo. Ho poi capito che quella chiave andava dentro ad una serratura. Ho fatto qualche fugace tentativo nelle prime porte che ho trovato sul mio percorso. Mi sono demoralizzato ed ho iniziato a detestare quella chiave. Poi, mi sono convinto che non dovesse aprire, esclusivamente, una porta. Nel mezzo del mazzo di chiavi però mi confondeva, senza capire dove la avrei potuta usare. Allora ho addirittura desiderato di non averla mai ricevuta senza tuttavia voler gettarla mai. Oggi sono passati degli anni ed in tutto questo tempo mi ha ad alternanza irritato e fatto sentire incapace oltre che, appunto, confuso. 
Ma è lì.

sabato 27 gennaio 2024

Il pesciolino rosso.

Forse premio a qualche imbarazzante gioco in fiera

oppure acquistato in un negozio che nemmeno so dov'era,

poi portato via da dove sono nato chiuso e sigillato in una busta piena.

Riversato a forza in un acquario di vetro,

giro nuotando, rigiro sguazzando e non mi guardo indietro,

nemmeno al pensiero che il mio mondo è meno profondo di un metro. 

Tutto il giorno oltre il vetro riflessi distorti mi fanno pensare,

che vista da dentro questa boccia non sia così geniale

se girando in tondo avanzo nuotando senza mai arrivare.

Galleggio a mezz'acqua poi mi immergo nel fondo,

riemergo alla luce che brucia anche per un solo secondo

ma poi, mi accorgo che trovo ossigeno solamente mentre affondo.

Guizzo oltre un piccolo forziere ricolmo di tesori e denari,

poi nuoto all'interno del relitto di un galeone sui fondali

 e mi perdo dentro un fiore d'acqua fatto tutto in plastica fino alla psicosi.

Se è questa la mia sorte batto forte il muso contro queste porte,

per destino sono il gioco di un bambino che mi guarda da vicino 

e con il dito poi picchietta sopra il vetro con lo sguardo malandrino.

Niente da fare, 

posso solo annaspare in quest'acqua dolce 

di bugie, di menzogne, 

chiedendomi quale sia l'aspetto 

del mare all'orizzonte.

venerdì 26 gennaio 2024

Dalla notte dei tempi.

Un'abitudine collettiva, diventata con il passare dei millenni  una vera e propria dinamica comportamentale umana consolidata, come può essere (per esempio) un'errata interpretazione della realtà che ci circonda e viviamo, diventa una vera e propria lacuna e mi verrebbe da pensare un "difetto". Qualcosa che manca. L'essere umano non vive attualmente in armonia con il resto del sistema. Noi siamo sufficientemente svegli da poter andare in un certo senso oltre ma non lo facciamo. Perché questo? Si tratta forse di un difetto di fabbrica? Siamo rotti? Ammalati? Non so. L'uomo si racconta storie dalla notte dei tempi ma lo fa un po' a tempo perso. Nel mentre, giustamente, è impegnato a vivere come può. Usiamo la vita senza capire cosa sia davvero, per questo sostengo da sempre che l'essere umano si trovi ad uno stato evolutivo drammaticamente basso. Dovremmo essere nel futuro ed invece siamo qua a mettere radici e ad espanderci, come una pianta infestante. Questo è demoralizzante per un dio.

giovedì 25 gennaio 2024

Eh eh.


La vita dà una sola possibilità, tutto il resto sono compromessi. 

Play #1.

(INTERFERENZA)
Come se stessi guardando un film e, invece di seguire le vicende del protagonista che si snodano nella trama, mi fossi concentrato tutto il tempo su una comparsa qualsiasi. Ma una goccia d'acqua non smette di esistere solo perché fatta tuffare nell'oceano. Mi chiedo come debba sentirsi quella famigerata goccia che fa traboccare il vaso. 
(INTERFERENZA)
C'è qualcosa che mi impedisce di riuscire a prendere coscienza e trascinarmi in alto. Sento una spinta vitale così forte da fare paura. Eppure c'è qualcosa che non mi fa avanzare nel percorso. È qualcosa che non riesco nemmeno a localizzare, non capendo se sia in me o venga da fuori. So solo che c'è, e questa cosa mi guarda da fuori e dentro. Ci combatto da tanto tempo. 
(INTERFERENZA)

(Continua...)

mercoledì 24 gennaio 2024

Odore di solvente.

Prendo una tela. È grande, bianca e pulita. La accarezzo con la mano, per verificarne la tensione. È molto ruvida sotto le mie mani. Penso che il colore vi si applicherà bene ma stenderlo a dovere sarà dura. Prendo una matita morbida, una riga ed inizio a tracciarvi sopra lo scheletro dell'immagine che è già nella mia mente. Ci ho riflettuto alcune settimane, prima di acquistare questa tela ed iniziare a lavorarci, ma ora eccomi qui a tracciare righe. Quelle orizzontali vengono tagliate perpendicolarmente dalle verticali. È una griglia. Ho disegnato una rete. La guardo da diverse angolazioni, penso che così potrebbe andare. Poi mi soffermo a pensarci su e mi dico che quella rete non è poi molto diversa dalla stessa alla quale siamo ormai sempre tutti un po' connessi. Una rete. Penso e ripeso. Mi viene poi in mente una trappola

Guardo quella rete, quella trappola, e non posso fare a meno di vederci dei quadrati. Dei quadrati perfettamente innaturali. Dopotutto, è impossibile trovare in natura un angolo di esattamente novanta gradi. Dev'essere quindi stata realizzata da un'intelligenza superiore. Ed ora che la guardo da una certa distanza, mi accorgo che non è molto differente da uno zoom dell'infinitamente piccolo. Come i pixel di un monitor, o i tasselli che compongono un puzzle più grande. Guardo quella rete e mi sento importante, bravo, quasi un dio quando mi accorgo che ho appena disegnato la struttura della realtà.

È adesso il momento di renderla reale. Prendo la mia tavolozza e miscelo il vermiglio con il cadmio, diluendoli con una goccia di trementina. Prendo un pennello da quattordici e raccolgo un po' di colore dalla tavolozza. Poi, molto lentamente, inizio a velare uno di quei quadrati che compongono la rete, stando attento a non uscire dal bordo che lo delimita. Con un po' di nero avorio poi, nella parte inferiore del riquadro, traccio a spatola un paesaggio di montagna, facendo in modo che appaia controluce sul tramonto appena dipinto. Ho ultimato il primo riquadro, il primo pixel, il primo tassello del puzzle. 

Do vita al resto dei riquadri della griglia che ancora si intravede a matita ed, in ognuno di questi riquadri, raffiguro a modo mio alcuni aspetti della mia realtà. Dopo il tramonto dipingo alcuni alberi, il mare, un dettaglio umano come l'occhio, corpi celesti nello spazio e, piano piano, il mio quadro diventa reale. Composto da tutti elementi universali per noi esseri viventi e di immediata comprensione. Faccio ora un passo indietro rispetto alla mia tela, per guardare il mio lavoro dalla giusta distanza. Guardo bene e mi accorgo che mi sono rimasti solamente due riquadri da riempire con la pittura. Sono vuoti. 

Ripercorro il sentiero che mi ha portato a questo punto del lavoro e mi ritrovo alla rete. Al singolo pixel. Penso subito ad un computer che altro non è se non un involucro vuoto senza un software che vi giri all'interno. La realtà che ho appena dipinto è la stessa che, una volta tracciata la struttura, mi ha fatto sentire come un dio. Ho tracciato dei riquadri perfetti, sto dando le migliori tonalità alla mia pittura con le più fini velature di colore. Un lavoro maniacale ai limiti del perfezionismo. Eppure, qualche errore, c'è e lo vedo. Un bug nel software. Decido quindi che quei riquadri vuoti saranno finestre oltre la realtà. E dietro un software che gira, c'è sempre un codice scritto. 

Riempio gli ultimi due riquadri con qualcosa che non ha nulla a che vedere con la pittura, con il colore e l'arte figurativa in generale. Ci metterò dei numeri, mi dico ad alta voce. Uno e zeri, fino a comporre un messaggio in codice binario. Questo messaggio conterrà la mia verità, la mia realtà oltre le più immediate immagini, al di là dei più luminosi colori. 

Mi convinco che chiunque guarderà il mio quadro, che alla fine risulterà sporco e malconcio come tutti gli altri, potrà scorgervi un tramonto, o una mare agitato, riconoscere un occhio umano o alcuni alberi, lo spazio cosmico ed altre scene di vita "reale". Ma quei due riquadri, sono una falla nell'intero sistema. Starà poi all'osservatore decidere se farsi imbambolare dalle immagini e dai colori del dipinto, che possano piacere o meno, oppure utilizzare quei bug nel sistema per uscirne ed ottenere così un punto di vista privilegiato sull'intera immagine.

Ho da sempre questo forte sospetto che qualcosa non torni.

martedì 23 gennaio 2024

Una panchina (una a caso).

L'abbiamo vista attraversare le stagioni, eppure nella mia mente è avvolta da un forte ma gradevole profumo di pioggia appena scesa. Circondata dalle foglie rossastre e scricchiolanti di un autunno inoltrato di ormai diversi anni fa. Sovrastata da alberi spogli ma sempre imponenti, che la custodiscono da molto tempo prima che noi la trovassimo. Ed incorniciata da un cielo così limpido e pulito in un'aria cristallina e frizzante. 
Porta su di lei ancora i segni di tutte quelle promesse che ci siamo fatti, senza poi riuscire a mantenerle, e che le abbiamo imposto a forza con la lama di un coltello che mai avremmo dovuto maneggiare. Ha origliato silenziosamente i nostri segreti. Ed ha poi riso forte, vedendoci sabotare con le nostre stesse mani i progetti e gli obbiettivi che ci eravamo prefissati in sua compagnia. Ha conosciuto tutte le versioni di noi, troppo spesso incassando con dignità i miei pugni pieni di rabbia e facendo impattare su di lei le tue lacrime da coccodrillo. Luogo di mille partenze senza meta, perché infine sempre lì ci ritrovavamo con noi stessi. Ma comunque sentiero  di viaggi incredibili ed interminabili. Troppe volte ci siamo aspettati reciprocamente in quel posto, quando non sapevamo più dove cercarci. 
Non so tu ma io, spesso, ci passo davanti tutt'oggi. In una nuova veste, con nuovi pensieri. Ed ogni volta che la vedo, credimi, non posso fare a meno di vedere l'ombra di ciò che siamo stati. 
Spero solo che le panchine non imparino mai a parlare. 

domenica 21 gennaio 2024

Pascoliamo.

Mi chiedo chi sono. 
Mi chiedo cosa sono. 
Mi chiedo da dove vengo. 
Mi chiedo dove sto andando. 
Mi chiedo il perché di tutto questo.
Cerco, quindi, Dio.

A questo punto del ragionamento, qualcosa smette di funzionare per molti. 

Perché ci ostiniamo a convincerci di aver trovato Dio percorrendo sentieri battuti da esseri umani?


«Il regno è come un pastore che aveva cento pecore. Una di loro, la più grande, si smarrì. Lui lasciò le altre novantanove e la cercò fino a trovarla. Dopo aver faticato tanto le disse, 'Mi sei più cara tu di tutte le altre novantanove'.»

(Vangelo apocrifo di Tommaso 107.)


Se è vero che una pecora smarrita e poi ritrovata rallegra il pastore più delle altre giudiziose novantanove, mi viene da pensare che Dio si prenda gioco di noi mettendoci a disposizione sentieri battuti e luminosi da percorrere. Le religioni sono un diversivo. 
Dio non vuole essere trovato, e sa come comportarsi perché questo non avvenga.

In fondo, siamo tutti un po' psicologi. O no?

Ritengo ci sia una estrema medicalizzazione per ogni cosa, lo avete notato anche voi?

Tra me e me.

Nulla è reale quanto l'illusione di essere vivi. Uccido quindi me stesso in ogni istante, nel continuo tentativo di salvarmi. Chiedo perdono, imploro pietà che non ho più. Allungo una mano verso me e la scanso come fosse infetta. Mi cerco con lo sguardo e mi evito. Mi guardo dall'alto con fare saccente e superiore, sento di non meritare tutte le attenzioni ed il valore che io stesso mi sto dando. Ricado nell'errore di farmi promesse che non manterrò mai, sono un bugiardo. Ormai disilluso, mi rifiuto di darmi fiducia. Non voglio nemmeno più concedermi del tempo, dopotutto anche quello è un'illusione. Da questa cosa non se ne esce. Combattiamo quanto vuoi, mi dico. Combattiamo quando vuoi, mi rispondo. 
Poi mi fisso in silenzio, 
e già questa è guerra.

sabato 20 gennaio 2024

Destino.


 

Addicted.

Premessa: seguiranno ora racconti e relative considerazioni riguardo ad un periodo particolarmente strano della mia vita. Tutto ciò che leggerete non sarà altro che frutto della mia personalissima e discutibilissima esperienza. Non è assolutamente mia intenzione normalizzare o sdoganare nulla, tantomeno auto-assolvermi  o ancor meno giustificarmi di niente. Mi sono già preso tutte le mie responsabilità in passato riguardo a ciò che sto per scrivere, pagandone tutt'oggi le conseguenze.


Per un periodo relativamente lungo della mia vita ho abusato di cannabis. 

A differenza della mia prima sigaretta che non ricordo, rammento il mio primo spinello. Avevo quindici anni quando un mio compagno di classe del liceo venne da me per mostrarmi dell'erba. Era la prima volta che la vedevo anche se, ovviamente, ne avevo sentito molto parlare. "Ce la facciamo durante la ricreazione, ti va?" chiese lui. Dentro di me una vocina mi diceva che era una cosa sbagliata. Ero però molto curioso, devo ammetterlo. Accettai. "Grande, ci vediamo nel parcheggio della scuola, allora". 
A quei tempi non avrei nemmeno saputo in che direzione voltarmi per trovare un po' di marijuana, mi convinsi quindi che quell'occasione non si sarebbe più ripresentata e che di certo non avrebbe potuto farmi niente di male se avessi fatto solo qualche tiro. 
Un paio di ore più tardi, nel parcheggio della scuola, stavamo accendendo quella canna. Ricordo il forte odore pungente ed un denso fumo che saliva nel freddo di quella giornata. Lui fece i primi tiri, io lo guardavo restando in attesa che me la passasse. Poco dopo me la allungò. La mia mano, tremante per l'adrenalina in corpo, la afferrò. La portai tra le labbra ed aspirai profondamente. Pensai subito che aveva un sapore molto diverso da quello del semplice tabacco. Dopo alcuni tiri gliela restituì. Lui aveva già gli occhi rossi, lucidi e socchiusi oltre ad un simpaticissimo sorriso sul volto. Io, nulla. Tornai in aula senza nessuno degli effetti che mi ero immaginato di provare. Ero quasi deluso. Mi dissi che quella roba era sopravvalutata e che non faceva per me.

Un anno dopo.

La "combriccola" di quel periodo mi invitò a passare una notte in tenda, sulle rive di un fiume che scorre poco lontano dalle zone in cui vivevo in quegli anni. "Due birre, carne alla griglia e guardiamo le stelle", era questo il programma. Un paio di giorni prima ci accordammo per raccogliere i fondi e finanziare quella serata, li demmo ad una nostra amica che si era presa l'incarico di fare la spesa e acquistare il necessario per la notte in tenda.
Quella sera, dopo aver mangiato, qualcuno tirò fuori dell'hashish. Io non ero stato messo al corrente che ci sarebbe stata anche quella sostanza ma la cosa non interessava, quella sera non fumai. Il giorno dopo tuttavia avanzò del fumo e, prima di salutarci per rientrare ognuno alla propria casa, venne diviso in parti uguali. Un pezzettino minuscolo toccò anche a me. Me lo misi in tasca, senza dargli troppo peso. 
La stessa mattina dovevo incontrarmi con quella che era all'epoca la mia ragazza. Dopo aver fatto colazione al bar, mi chiese come fosse andata la notte in tenda. Mi ricordai in quel momento che, nella tasca dei pantaloni, avevo ancora il pezzetto di fumo e glielo feci vedere. "Non fumo da una vita, ti va se ce lo facciamo?" chiese lei. Inizialmente titubante, infine accettai senza aspettarmi nessun effetto particolarmente entusiasmante. 
Invece, quella volta, qualcosa accadde. 
Pochi minuti dopo aver spento lo spinello, iniziai ad avere le palpitazioni. Percepivo il mondo intorno a me come fosse in slow motion eppure, ogni volta che guardavo l'orologio, il tempo mi sembrava volare. Anche i miei movimenti andavano a rallentatore. Sentivo la gola secca e gli occhi pesanti. Con la mente, però, andavo veloce. Quella volta abbiamo riso tanto, tanto, e facemmo sesso come se fosse stata per noi la prima volta.
"È stato bello, dobbiamo rifarlo ogni tanto" mi disse lei qualche ora dopo l'hangover, riferendosi alla canna. E così, infatti, è successo. Io scoprì, casualmente pochi giorni dopo, che un mio vecchio conoscente delle scuole medie era diventato il primo riferimento di zona, per chi cercasse sostanze. Da lì a poco divenni uno dei suoi migliori clienti. Lo incontravo il venerdì pomeriggio e acquistavo la sostanza necessaria per il weekend. Per i successivi tre anni, infatti, quello della canna era un "piacere" che io e la mia ragazza ci concedevamo solo la domenica mattina. Oltre a farci rilassare e divertire, rendeva il sesso estremamente più interessante. 
Difficilmente e molto raramente fumavo da solo, in quei primi tre anni. Non la percepivo ancora come una vera e propria dipendenza. Durante la settimana facevo quello che dovevo fare, senza troppi problemi e senza pensare eccessivamente all'appuntamento della domenica con la sostanza. Riuscivo a coglierne solamente l'aspetto "ludico", "ricreativo", quello più "leggero".
Qualcosa, poi, è cambiato. Io e la mia ragazza di allora abbiamo iniziato ad avere alcuni problemi all'interno della nostra relazione. Lei era insoddisfatta, io anche (non parlerò qui ed ora di quella relazione in maniera troppo approfondita). Iniziai a fumare anche da solo, scoprendo tristemente che la cosa mi piaceva di più. 
Se quando fumavo con lei il sesso e le risate scorrevano come acqua, fumando invece in solitudine riuscivo a concentrarmi più su me stesso. Riuscivo a vedermi da un punto di vista diverso, per me nuovo a quei tempi. Riflettevo sulle cose e le vedevo da prospettive diverse che, in uno stato di lucidità, non mi erano concesse. Quando fumavo, lo facevo in un set di assoluta tranquillità. Solitamente la sera, quando i miei genitori dormivano. Era un momento tutto mio e al quale, con il passare dei mesi, facevo sempre più fatica a rinunciare. Mi resi conto che si trattava di un problema reale quando mi accorsi che, se non ne avevo, il mio umore cambiava. Diventavo nervoso. Ero ormai dipendente. Andai avanti così per un altro paio di anni. 
Arrivai ad una condizione frustrante e demoralizzante. Mi sentivo dentro una situazione senza uscita. Quando non ero "fatto" niente sembrava avere un senso. Oltre a questo iniziai a soffrire di paranoie, immaginando i più drammatici scenari se mi avessero arrestato o se fosse successo qualcos'altro. Non stavo più bene. Nemmeno quando fumavo, perché anche quando assumevo thc mi sentivo un inetto per il fatto di non riuscire a mettere la parola "fine" a quel periodo della mia vita. 
Sapevo ed ero certo che si trattava solamente di un "periodo". Mi dicevo che, in un modo o nell'altro, sarebbe dovuto terminare, prima o poi. Avevo bisogno di qualcosa di forte che mi riportasse alla vita. 
E qualcosa di forte accadde, infatti. 
(No, non mi hanno arrestato alla fine).
Ma di questo parlerò in un altro post.

giovedì 18 gennaio 2024

Eppure ci guardavamo.

Mattina. Mi trovo in bagno, chino sul lavandino. L'acqua scorre sulle mie mani. Non capisco se devo vomitare, mi prendo qualche istante facendo lunghi e profondi respiri. Infine sollevo lo sguardo e lo porto di fronte a me. Mi sto specchiando, mi fisso a lungo e non mi riconosco. Con la mente torno indietro di una ventina d'anni: 
un bambino davanti allo specchio del bagno che si prepara per andare a scuola. Quel bambino fissa il suo riflesso, chiedendosi quale sarebbe stato il suo aspetto nel futuro. Chiedendosi quali pensieri gli avrebbero attraversato la mente, sempre in quel futuro. Quel bambino fa poi una linguaccia allo specchio prima di distogliere lo sguardo. 
Torno alla realtà con un'imprecazione, quando mi accorgo che l'acqua che ancora mi scorre sulle mani si è fatta bollente. Chiudo il rubinetto prima di sollevare ancora lo sguardo per cercarmi nello specchio. Quel bambino non c'è più. Eppure, credetemi, lo avevo visto. Sono certo che anche lui mi abbia guardato. Mi intristisco chiedendomi quando lo rivedrò. 
Ogni tanto, quando passo davanti allo specchio del bagno, guardo oltre lo specchio e ironicamente faccio una linguaccia.

martedì 9 gennaio 2024

Sud - Ovest.

Arida e rossa bruciata dal sole

questa terra che nell'acqua sfuma in costa. 

Un lembo di vita dal sapore di sale

che si scoglie in un caldo vento che soffia.

Le nuvole rosa che accendon le acque

e l'astro stanco che cala e le sfiora.

Tagliano il cielo cento gabbiani

da posti distanti giunge con loro una storia:

nel mito affondan radici lontane

come rotte di barche che strappano il mare

il punto di forza del più grande bacino 

oltre il quale si apre un nuovo guardare.

Terra di guerre, conflitti e anche violenze

che per onore fan spazio a crudeli sentenze,

anche il più tetro silenzio risuona

tra mercanti, artigiani, grandi imprenditori e

pure i santi si mischiano ai peggio peccatori.

Eppure su quest'isola in mare sempre mi ritrovo,

contemplando il tramonto da uno scoglio

tra gabbiani, nembi ed il sole che scende,

una voce a me cara chiama alle mie spalle

mi volto

ed è già notte.

Un caffè in silenzio.

Di quel momento ricordo un rispettabilissimo silenzio, quasi piacevole. Come se non ci fosse stato bisogno di parlare, forse perché le parole erano finite o forse perché nessuna di loro si sarebbe rivelata adeguata. Semplicemente, c'era silenzio. Ed in quel silenzio stavamo bene. Anche davanti alla morte. Il dolore ti riporta al tuo posto: il volto basso, la voce rotta e gli occhi lucidi. E soffrire insieme ci fa sentire tutti sempre un po' più vicini, senza tuttavia doversi parlare a lungo e ad alta voce di cose senza senso. Senza la necessità di guardarsi negli occhi. Seza l'arroganza di volersi toccare. È bastato stare attorno allo stesso tavolino, sorseggiando un caffè così tristemente amaro ma sì, lo sai ache tu che infondo non eravamo lì per il caffè. No. Quel momento ce lo meritavamo tutti e, forse, abbiamo tutti vissuto interamente per quel singolo momento. Per godere, nel dolore, di quell'attimo di pace dopo la tempesta. Come una coperta calda che ti avvolge dopo una doccia nella stagione più fredda. Credimi se ora ti dico che in quel momento avrei voluto abbracciarti, forte. Non l'ho fatto in quella situazione e sono contento di questo, perché avrei sminuito e rovinato un'aria quasi sacra che era solo per noi.

L'infelicità è la forma che prende la consapevolezza dell'esistenza di altro.