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mercoledì 31 maggio 2023
Eh, ancora non l'hanno compreso.
Aspettando Godot. (Dal vecchio blog)
Ho passato gli ultimi tre anni della mia vita ad aspettare qualcosa, o forse qualcuno. Forse è arrivato. Forse no. Non so più bene nemmeno io cosa stia aspettando, in effetti oggi so che non c’è un bel niente da aspettare. Non arriverà niente di quello che ho sempre aspettato. Non arriverà mai nessuno che io possa considerare all’altezza della situazione. Non fraintendermi. Oggi posso dire di essere felice, anche se è vero che la felicità non è una condizione a lungo termine. Non sono sereno, è vero, ma al momento sono soddisfatto. Disperato, ma soddisfatto di ciò che ho ottenuto. Tutti siamo un po’ disperati, infondo, perché tutti aspettiamo qualcosa. Da qualche parte dissero che la vita stessa sarebbe in realtà una sala d’attesa. Quale definizione più azzeccata per la mia condizione attuale. Hai sicuramente visto il film The Terminal con Tom Hanks. Io aspetto, lui diceva. Non so quante volte io abbia detto e mi sia ripetuto questa frase. Mi sto contraddicendo, okay, so che non c’è proprio niente da aspettarsi ma non posso fare a meno di continuare a farlo. Forse perché resto un inguaribile sognatore. Ti va riconosciuto che hai architettato tutto in maniera impeccabile. Ma chi meglio di noi sa che le bugie non possono essere sostenute a lungo?! Oggi, su di me, la tua sceneggiatura non funziona più. Ed io che sono così fottutamente ingenuo non so come abbia fatto a crederti per tre lunghi anni. Mi hai lasciato un vuoto. Ma questo lo sai. E come riempirlo se, come scrivesti tu, la vita non è fatta del solo bisogno di completarsi? Avremmo potuto funzionare come vasi comunicanti, dissi io una volta. Non mi hai ritenuto all’altezza. Prendi le persone, le sollevi a due dita da terra nella stanza bianca e le rimescoli prima di poggiarle ancora al suolo. È così che fai, sì? Dio, quanto sei insensibile. Quanto sei vuota nonostante tutto quello che ti porti dentro. Quanto sei piccola nonostante la tua forza. Quanto sei niente, nonostante il tuo tutto. Questo ricorrente dualismo mi irrita. Ma non posso farci niente. Tu sei vita e morte allo stesso tempo. Giorno e notte. Bianco e nero. Luce e oscurità. Ma io non voglio essere come te. La vita non è fatta di tutto o niente, come ci eravamo detti e questo lo sto imparando solo ora. Quindi io voglio collocarmi nel mezzo della mia stessa ambiguità. Nel centro tra due parallele che non si incontreranno mai. E allora io sto lì. E aspetto.
Just married. (Dal vecchio blog)
E tu, mi hanno detto che ti sposi. Mi stupisco di me che riesco ad essere sinceramente felice per te. Mi stupisco di te che nonostante la tua intelligenza e la tua astuzia non mi hai mai creduto quando ti dicevo che, con il tempo, avresti trovato qualcuno degno di te. Qualcuno che meritava il tuo amore, quel tuo modo di amare così forte e così duro che in quel momento non faceva per me. Sono felice tu abbia trovato quel rapporto che tanto desideravi, ma che io non ero pronto a costruire con te. Hai innegabilmente riempito sette anni della mia vita, nel bene e nel male, e per questo devo senza dubbio ringraziarti. Ringraziarti perché anche tu hai contribuito a farmi essere quello che sono oggi, che mi piaccia o no. Ricorderò per sempre quando ti dissi che se ci fossimo incontrati quando avremmo avuto una trentina d’anni le cose, con molta probabilità, sarebbero andate diversamente. Ed oggi, che mi trovo in prossimità di quella soglia, non posso fare a meno di immaginare tante cose. Ma dall’alto della mia solita presunzione mista arroganza continuo a dirti - continuo a dirmi - che è meglio le cose siano andate così. Non credo più nel libero arbitrio, penso le nostre vite siano intrecciate, come disse qualcuno, come in un capitolo dell’atlante delle nuvole. E allora niente sarebbe capitato per caso. Niente sarebbe frutto delle nostre sconfitte e delle nostre vittorie, ma piuttosto di un disegno predefinito e ben definito che sfugge alla nostra concezione, disegno che ti ha portata oggi a quella felicità di cui avevi tanto bisogno. Che tanto aspettavi. Non posso che augurarti il meglio, perché il meglio è quello che hai provato a darmi. Non posso che augurarti l’eternità, perché era quello che mi avevi promesso. Non posso che continuare a portare in me qualcosa di te, come sono sicuro tu farai con me. Anche a te dico che non sarà sempre facile, anche a te non dico che non avrai problemi. Ma posso assicurarti che le cose, alla fine, per te andranno sempre bene. Avrai una vita ricca di soddisfazioni e di cose belle, non mancheranno i momenti bui, ma torno a ripeterti che alla fine tutto andrà per il meglio.
Giudicata da Dio. (Dal vecchio blog)
Ricordo di quando ti chiedevo cosa tu volessi da me, e quella tua risposta secca “Io non voglio niente da te”, che mi lasciava un po’ di amaro in bocca, solo oggi mi posso rendere conto di quanto tu non stessi mentendo. Ma sono stato portato a questa dannata abitudine di non fidarmi mai di nessuno, e non l’ho fatto nemmeno con te. Ed ho sbagliato, solo oggi posso ammetterlo. Ti ho fatto male. Tanto. Ed ammiro quella tua forza che hai avuto di andartene, di lasciar morire un rapporto che stava facendo morire noi. Solo per una mia inettitudine nella vita. Me ne assumo ogni responsabilità. Perché sì, è vero, provavo qualcosa di bello per te, ma ancora non ero pronto. Come molto probabilmente non lo sono nemmeno oggi. Non ero pronto a costruire qualcosa di bello, come mi dissi tu in un nostro primo scambio di battute. Io non credevo. Tutto intorno a me mi diceva di crederti, di fidarmi di te, ma non ci sono riuscito. Non credevo in quel noi. E la distanza geografica non è mai stata un problema, non lo sarebbe mai stata se ti avessi capita davvero. Ma io sono l’ultimo degli stronzi, come ti dissi io alle cose non ci arrivo, le cose devono essermi spiegate. Ed oggi siamo arrivati a questo punto. Io che ti penso, quasi ogni giorno, e tu che fai di tutto per evitarmi. Meriti tanto. Meriti tutto quello che io non posso darti e anche di più. Hai avuto una vita terribilmente difficile, direi paurosa, ed è giunto il momento che io provi a lasciarti andare, a non pensarti più, a farmi una ragione di come siano andate le cose ed a non aspettarmi più un tuo ritorno. Però, ehi, ricordi quella sera cosa ci dicemmo? Cosa ti chiesi? Promettimi che, un giorno, anche se non staremo più insieme e anche se ci avrà diviso la peggiore delle dannazioni, quel giorno verrai a cercarmi. Anche per dirmi semplicemente “ciao” e tu me l’hai promesso. Ricordi? Forse questa mia speranza non morirà mai, infondo. Forse spererò sempre di venire a sapere che sei in città, che mi stai cercando, anche solo per bere un caffè con me. Per guardarti negli occhi, per chiederti se sei vera e, finalmente, sentire la tua risposta credendoci. Credendoci davvero. Esorcizzando così due anni di rapporto che io ho sempre creduto finto. Pensavo fossi diabolica, sei invece probabilmente la miglior persona che io abbia mai incontrato. Ti chiederei ora se sei vera. Tu mi risponderesti Sì Ale, sono vera ed io ti sorriderei. Ti darei un bacio in fronte.
Non ditele che è stata il mio primo bacio. (Dal vecchio blog)
Sei stata il mio primo bacio. Ma questo non lo saprai mai. Bonariamente non voglio darti questa soddisfazione. Lo ricordo bene. Ci demmo appuntamento nel corridoio di quella nostra scuola che erano, se non sbaglio, le dieci e mezza di una fredda mattina di novembre. Tu sei più alta di me quindi arrivavo a malapena alle tue labbra, ma le ricordo bene. Le guardavo spesso. Giocavi con me da un paio di mesi e non posso negare che la cosa mi piacesse. Infondo sei una bella ragazza, dolce, e molto intraprendente. Ho parecchi ricordi di quel periodo. Parlavamo molto. Mi faceva un sacco tenerezza la tua storia. Riuscivo ad amarti per questo. Mi piaceva il tuo essere molto cauta e pacata, nonostante avessi una certa sicurezza in te. “Quando saremo grandi vorrò fare l’amore con te”, mi dicesti una sera. Io ero tutto gasato. Oggi mi viene da sorridere. Sei stata la mia prima cottarella e, come accade il più delle volte in questi casi, oggi non ho più tue notizie. Spero solo tua stia bene. Spero tu sia riuscita a fare un po’ pace con la tua storia, con il tuo vissuto. Che tu sia riuscita a sopperire a qualche mancanza che avvertivi forte nella tua vita. Sei un’ottima ragazza ed io per te stravedevo. Mi piaceva il tuo odore. I tuoi occhi verdi e quel tuo fascino alla Cameron Diaz. Il tuo umorismo ed il tuo abbraccio la mattina. Stavamo instaurando un gran bel rapporto. Vero. Com’è vero che le strade prima o poi si dividono ma in entrambi avremo per sempre qualcosa l’uno dell’altra. Ne sono certo. E tu continua a dipingere. Continua a riempire quelle tele bianche per come vuoi tu, riempi la tua vita con i colori più belli della tua tavolozza senza paura di mischiarli, per dar vita ad un capolavoro fantastico.
martedì 30 maggio 2023
Cliché.
domenica 28 maggio 2023
"Parlami", ti dissi quel giorno.
sabato 27 maggio 2023
venerdì 26 maggio 2023
Quel che rimane.
giovedì 25 maggio 2023
mercoledì 24 maggio 2023
lunedì 22 maggio 2023
Conosci te stesso.
Mi trovo spalle al muro, davanti a me un lunghissimo corridoio. Non riesco ad intravederne la fine, sembra sconfinato. Al suolo una moquette color bordeaux, usurata, con qualche bruciatura di sigaretta qua e là. Un po' sporca e trasandata, malconcia. Le pareti son ricoperte da una carta da parati barocca color senape. Lungo il corridoio, su entrambi i lati, vedo porte a perdita d'occhio alternate soltanto a dei candelabri fissati alle pareti. Questi sono vecchi, alcuni non funzionanti, altri emettono luce ad intermittenza. Non ho nessuna idea di come io abbia fatto a ritrovarmi in questo posto, la sensazione è quella di averlo però già visto, non so quando. Non riesco a voltarmi, decido quindi di avanzare. Un passo dopo l'altro e subito mi accorgo che le porte sono numerate, vedo la porta numero uno e decido di aprirla, curioso di vedere cosa nasconde il principio.
La maniglia è un po' dura, un vecchio pomello sferico d'ottone. Mi dico che questa porta dev'essere rimasta chiusa a lungo. Poi, con uno scatto, si apre. Varco timidamente la soglia, riconosco una culla al centro della stanza. La stanza tende all'azzurro. Mi avvicino alla culla. Mi sporgo per guardarci all'interno: è vuota. Un vecchio carillon pendente sopra di essa gira ancora, non emettendo alcun suono. Mi guardo attorno e vedo dei vecchi giocattoli, sembrano quelli di un bimbo. Lui, però, non c'è. Torno sui miei passi intristito, mi chiedo dove sia. Esco dalla stanza richiudendomi la porta alle spalle. Proseguo lungo il corridoio seguendo la numerazione delle altre porte.
Decido di fermarmi alla porta numero otto. È un numero che mi è sempre piaciuto, mi ricorda il simbolo dell'infinito. Questa volta la maniglia della porta non c'è, non la vedo. Probabilmente questa porta può essere aperta solo dall'interno. C'è però un vecchio battacchio arrugginito al centro della porta, esattamente alla mia altezza. Lo faccio risuonare con forza. Sento dei passi provenire oltre la porta, all'interno della stanza, avvicinarsi. La serratura scatta e la porta viene aperta. Ho paura, non so chi potrei trovarmi di fronte. La porta si spalanca ma, all'interno, ancora una volta non vi è nessuno. Mi guardo attorno, questa stanza è una libreria. Giro tra gli scaffali, come fossi alla ricerca di un libro. Ce ne sono migliaia. Uno di questi, però, attira la mia attenzione. È l'unico con la copertina rossa, lo riconosco perché l'ho già letto. Lo rimetto a posto con cura e poi mi volto in direzione dell'uscita. Voltandomi vedo una scrivania, non l'avevo notata entrando. È lì, proprio in mezzo alla stanza. Una vecchia scrivania di mogano, con dei cassetti ai lati. Ne apro uno a caso, il primo alla mia destra. Vi trovo dentro una chiave e ne resto stupito. Decido di tenerla e me la metto in tasca. Prendo la porta ed esco, ritrovandomi nel lungo corridoio.
Supero la porta numero dieci e continuo a camminare, decido di recarmi alla porta diciannove. Il giorno della mia nascita. Anche questa può essere aperta solamente dall'interno, c'è però a lato un campanello. Lo suono e, in quello stesso momento, sento salirmi un brivido lungo la schiena. Attendo. La porta non si apre. Sento un pianto lamentoso straziante, provenire dall'interno della stanza, oltre la porta. Resto in attesa ma la porta rimane chiusa. Urlo "Chi c'è lì dentro? Aprimi!" ed all'improvviso il pianto cessa. Poi dei passi, di corsa, li sento allontanarsi nella direzione opposta alla porta. Il silenzio. Resto deluso ed angosciato allo stesso tempo. Proseguo lungo il corridoio.
Cammino a lungo, la fioca luce dei candelabri sembra affievolirsi mano a mano che mi faccio strada. Mi accorgo che c'è una porta particolare, diversa dalle altre. Non è numerata ed è socchiusa. Una flebile luce esce dallo spiraglio aperto. La spalanco e mi ritrovo in una stanza completamente bianca, luminosa e spaziosa. Così vuota che anche il mio respiro affannato riecheggia. Mi rendo conto che al centro vi è qualcosa sul pavimento ma non riesco a mettere a fuoco. Mi avvicino ed intravedo un piccolo scrigno e d'un tratto mi torna in mente la chiave che ho riposto nella tasca. Me ne stavo dimenticando. Decido di provare ad aprire lo scrigno con la chiave. Questa entra, la faccio girare e... clack! Si è aperto. Timidamente sollevo l'apertura del piccolo bauletto e dentro vi trovo un vecchio pezzo di carta ripiegato su se stesso. Lo apro. C'è una scritta: Nosce te ipsum.
domenica 21 maggio 2023
... Sogno. (esperimento flusso di coscienza)
Sento un rumore
saranno le mie ossa che cedono
vedo un bagliore
aborto di un sogno mai nato
in una notte agitata ed insonne
odo dei passi
avanzare in casa nel buio
una figura macabra mi compare davanti
mi parla una lingua ormai morta
reminiscenze di una vita passata
mi rammenta cos'ero
e d'un tratto ricordo tutto
e niente mi sembra aver senso
in questo posto squallido e finto
cerco un modo per uscire
per svegliarmi
il mio corpo è rigido, freddo
una voce echeggia nella mente
dicendomi che è solo un sogno
è solo un sogno
è solo un sogno
è solo un...
Tutto il tempo del mondo.
Quando mi dicevi che non mi conveniva amarti, con quel tono stizzito, aggiungendo che nemmeno tu ne saresti stata capace a tua volta. Forse nessuno dei due meritava l'amore dell'altro. Probabilmente non eravamo pronti e non ne eravamo in grado. Mai troppo pronti per amare non riuscendo ad amarci e, per questo, sempre abbastanza pronti alla guerra. Sono passati degli anni, oggi, e non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe andata, cosa sarebbe successo se. Se tu mi avessi incontrato oggi, se le nostre strade si fossero incontrate in questi tempi non sereni ma, almeno, un po' più lucidi e distesi. Probabilmente saresti passata come scorre l'acqua sul letto del fiume, sicuramente avrei osato meno nel tenerti arenata a me. Avremmo inventato un linguaggio tutto nostro per dirci tutto quello che, alla fine, non ci siamo detti in questi anni. Avremmo ascoltato i nostri silenzi come fossero musica e ci avremmo ballato sopra Wind of Change degli Scorpions. Avremmo raccontato le nostre storie come se ci stessimo raccontando la fiaba della buonanotte e, dopo, avremmo dormito sognando di farne reciprocamente parte. Vedo te che mi guardi perplessa quando ti racconto le mie stranezze e le mi fisse. Vedo me confuso mentre mi riveli il segreto della vita e mi spieghi le leggi che governano questo mondo. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo e ci prendiamo tutto il tempo che ci serve. Poi, all'improvviso, svanisci. Sento la tua voce chiamarmi mentre già non riesco più a toccarti e ai miei occhi sei ormai una nuvola di fumo. Tamburi di guerra rimbombano in lontananza ed il passo pesante delle truppe avanza all'orizzonte verso di me. Non siamo riusciti ad amarci perché non amavamo noi stessi. Ci saremmo scontrati a tutta velocità, collidendo ed esplodendo, scomponendoci, come fanno le particelle al cern. Ci siamo persi nel tentativo di schivarci, divergendo, allontanandoci. Respingendoci. Mi viene in mente l'immagine di un sasso che rimbalza a pelo d'acqua senza mai fermarsi, per sempre. Ma la guerra era inevitabile, arrivati a quel punto. Stiamo giocando una partita servendoci di pedine su di una scacchiera. Come se volessimo restare al sicuro anche quando non lo siamo. Aspetto il momento in cui la partita volgerà al termine per rimettere infine tutte le pedine nella scatola e, finalmente, trovarci seduti ad un tavolo uno di fronte all'altra guardandoci negli occhi: un po' stanchi, un po' annoiati. Sicuramente sconfitti entrambi. Chiedendoci a cosa sarebbe servito tutto questo.
lunedì 15 maggio 2023
Chi era?
giovedì 11 maggio 2023
Noia.
Mi sono sempre sforzato tanto, fin da molto piccolo, nel provare a capire la vita. È una spinta nata in me, con me. Come se avessi sempre avvertito un forte richiamo dall'oltre. Sempre avuto la netta sensazione che ci sia altro da sperimentare, oltre a ciò che ho sempre e solo potuto vivere. Questo ha sempre fatto sì che io vivessi in un perenne stato di "anestesia". Spero di non essere frainteso quando dico che sì, la vita è bella, è una gioia ma... Quello che c'è fuori? Ho un ricordo che la maggior parte delle persone potrebbe definire "triste" ma che per me non lo è:
Avevo sei anni o giù di lì ed era pomeriggio, ero in camera da letto con mia madre. Lei era da poco tornata dal lavoro e si stava cambiando. Io sdraiato sul lettone mi ci rotolavo sopra. Lei mi parlava, indaffarata a trafficare con gli indumenti presi dall'armadio, quando ad un certo punto le dico "Mamma, la vita mi annoia." Riesco ancora a sentire il silenzio che scese in quella stanza, mia madre che si volta verso di me e mi guarda perplessa senza sapere cosa rispondere. "Non devi pensare mai più una cosa simile" mi dice infine con tono duro. Io torno a rotolarmi sul lettone.
Potrebbe sembrare il ricordo di quello che era un bambino triste. Ero in realtà un bimbo pieno di vita, estremamente curioso e già con mille domande. Probabilmente in quel momento volevo intendere tutt'altro rispetto a quello che venne fuori dalla mia bocca. Quella noia non era apatia. Voleva invece essere una forza. Era la vita stessa che, in quel momento, mi chiamava con la mia stessa voce. E che dopotutto si è espressa con le capacità linguistiche e di pensiero di un bambino di sei anni. Quella frase potrebbe essere parafrasata e vista sotto una nuova luce se penso che oggi, quella stessa noia, non mi ha ancora abbandonato. In questo momento tendo una mano a quel bambino di sei anni che ero, lo tiro a me e gli dico "Tieniti forte." Ci sono parti di noi che non muoiono mai, parti che vorremmo uccidere ed altre che vorremmo non finissero mai di essere. Quella noia è forse una delle troppo poche parti di me che, spero, non muoia mai perché, dopotutto, alcune delle cose migliori nascono il più delle volte dalla noia stessa.
martedì 2 maggio 2023
Oltre la porta.
Non c’è niente che io mi possa spiegare
né di come io esista,
né di come io riesca a respirare.
Mi chiedo come ci sia il sole caldo
e di come se salto a mezz’aria, poi cado.
So che ci dev’essere una risposta
cerco, cerco
ma dove sarà nascosta?
Sarà celata da qualche porta
ma quale sarà la chiave giusta?
Guardo il mondo da una finestra
e aspetto,
ma da questa la luce non filtra!
Sembra tutto un macabro indovinello
troppo arduo per qualsiasi cervello.
Allora non resta che vagare
cammino, cammino
non dimenticarti di osservare.
Perché se guardi e scruti la realtà
c’è qualche indizio sparso qua e là.
Ma se guardi bene quelle porte
ce n’è una più saccente
non aprirla, c’è scritto “morte”!
L'infelicità è la forma che prende la consapevolezza dell'esistenza di altro.
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Un'abitudine collettiva, diventata con il passare dei millenni una vera e propria dinamica comportamentale umana consolidata, come può ...
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(INTERFERENZA) Come se stessi guardando un film e, invece di seguire le vicende del protagonista che si snodano nella trama, mi fossi concen...
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L'abbiamo vista attraversare le stagioni, eppure nella mia mente è avvolta da un forte ma gradevole profumo di pioggia appena scesa. Cir...