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Tocca le mie ferite e credi nella mia sofferenza, non ho altro da dimostrare di ciò che è rimasto di una partita al gioco più folle al quale io abbia mai partecipato. Ma se hai pochi minuti da dedicarmi, ho una storia da raccontarti. Mettiti comodo.

venerdì 29 marzo 2024

Sketch.

Avete presente quando, assorti dai pensieri, scarabocchiate su un pezzo di carta?
Capita a tutti. 
Magari durante una telefonata o più semplicemente a tempo perso in un momento di riflessione?
Ecco, io son vent'anni che disegno occhi. 


Niente da fare.

Lacrime mai versate stagnano nell'animo di chi ride con forza, per chi nasconde incredibili segreti. 
I non detti fanno dentro più rumore di qualunque grida straziata dal dolore, nel crudele tentativo di custodirli. 
Convincersi di alcune verità non ha mai reso nessuno libero se non ancora più confuso. 

Cerco un filo.
Continuo a cercarlo...

Dannazione! Dev'essere qui da qualche parte, me lo ricordo!

lunedì 25 marzo 2024

Relativamente.

Saremmo stati il peggior incubo.
Nella notte più lunga e fredda.
Della vita più tormentata. 
Nel più difficile dei mondi. 
Nel più terribile degli universi.
Nella più assurda delle realtà.
Per sempre.

Tuttavia, 
pur sempre 
un sogno.

giovedì 21 marzo 2024

Incubi di primavera.

Non tutti 
i sogni
che la notte 
bisbiglia
possono essere 
urlati
in veglia,
per il timore
che l'eco
faccia vibrare
le corde 
che giostrano
la realtà.

lunedì 18 marzo 2024

Una triste favola.

C’era una volta

uno spazio del quale il tempo ne era padrone, 

tra galassie di stelle, asteroidi e

polveri cosmiche vi era

un mondo in apparenza normale,

forse anche un po’ troppo banale

governato da leggi, etica e morale. 

Popolato da tantissime persone

che nascevano e crescendo vivevano

senza esser capaci di andare oltre

il muro della loro condizione.

L’essere umano era infatti vittima

colpito da un’infinita maledizione:

dato in pasto da Dio al Tempo;

capace di sognare l’infinito

senza riuscire mai a raggiungerlo

affinché imparasse,

gioisse e piangesse,

per  l’amore

che così come la paura,

non vivono in eterno.

Questa è la più dolce tortura

per l’uomo, colpevole di trovarsi al mondo

senza averne dato il consenso.

lunedì 11 marzo 2024

Riflessioni.

Ho già scritto e ripetuto fin troppe volte di quanto, secondo me, sarebbe angosciante la nostra esistenza se riuscissimo a contemplarla nella sua totalità da una prospettiva esterna ed oggettiva da quella a cui siamo abituati. Non voglio risultare petulante e soffermarmi adesso, ancora, sulla condizione umana. Ma possiamo considerare così la vita:

Vita è la condizione degli esseri viventi, cioè quegli organismi caratterizzati da un grado di complessità e organizzazione che consente loro di crescere e svilupparsi, di muoversi autonomamente, di autoregolarsi, di adattarsi all’ambiente, di reagire agli stimoli esterni e di riprodursi (v. animale, vegetale, umana). 2. Nell’uso comune, si chiama vita il periodo di tempo compreso tra la nascita e la morte di un individuo (le età della v. dell’uomo; [...] 4. l’esistenza come la si immagina dopo la morte (passare a miglior v.) [...]
Treccani

Vita, intesa come:

Eṡistènza s. f. [dal lat. tardo exsistentia, der. di exsistĕre «esistere»]. – 1. L’esistere, l’esserci: l’e. di Dio, dell’anima, degli uomini, del mondo, delle cose; affermare, negare, provare l’e. di Dio, dell’anima, ecc.; accertare l’e. di un documento; può darsi che uno strumento di questo tipo ci sia, ma io ne ignoro l’e., non so cioè se esiste, se ci sia; scoprire l’e. di un complotto. Più propriam., nel linguaggio filos., il termine indica sia lo stato di ogni realtà in quanto è tale, sia, in senso specifico, lo stato della realtà che può essere oggetto di un’esperienza sensibile; per la filosofia dell’e., v. esistenzialismo. In matematica, si chiama teorema di e. una proposizione la quale dimostri che esiste almeno una soluzione per un dato problema, e teorema di e. ed unicità una proposizione la quale dimostri che la soluzione esiste ed è unica. 2. a. Vita, il fatto di vivere, o il tempo che dura o è durata la vita: l’e. terrena dell’uomo; la lotta per l’e.; avere un’e. felice; ha avuto un’e. travagliata; di uso com. e fam., rovinare, amareggiare l’esistenza. In senso più ampio: l’e. di una nazione, di un popolo, di una società. b. In psichiatria, doppia e., lo stesso, ma meno com., che doppia personalità (v. personalità).
Treccani

È da alcune settimane che mi chiedo se non possa esistere una vera e propria fobia* dell'esistere. 

*Fobìa s. f. [uso sostantivato del suffisso prec.]. – In psichiatria, disturbo psichico consistente in una paura angosciosa destata da una determinata situazione, dalla vista di un oggetto o da una semplice rappresentazione mentale, che pur essendo riconosciuta come irragionevole non può essere dominata e obbliga a un comportamento, inteso, di solito, a evitare o a mascherare la situazione paventata; prende nomi diversi a seconda del suo contenuto: agorafobia, claustrofobia, ereutofobia, ecc. Nell’uso com., la parola indica genericamente e iperbolicamente una forma di avversione istintiva o di forte intolleranza per qualche cosa: ho la f. dei viaggi in treno; anche scherz.: ho una vera f. per la matematica; ha un’assurda fobia di mangiare cibi non cotti.
Treccani

E non parlo della così ormai gettonata depressione e nemmeno del cosiddetto male di vivere o del male dell'anima. Ma di qualcosa di diverso. Un vero e proprio stato psicologico di angoscia dovuto al fatto di percepirsi, letteralmente, all'interno di un involucro come potrebbe essere il proprio corpo, sentendosi schiacciati dall'inquietante consapevolezza che saremo costretti a restarci per del tempo.

domenica 10 marzo 2024

 AVVISO AI LETTORI

DISPONIBILE DA OGGI EBOOK IN FORMATO PDF DI 

"UN MOTIVO PER SCRIVERE"

L'imbarazzantissima raccolta contenente una selezione di tristi poesie e piccoli racconti scritti in quest'ultimo anno su Il punto di rottura e, ancora prima, su La soglia del dolore.


lunedì 4 marzo 2024

La verità rende folli.

«Professor Smith! Si fermi, aspetti un momento!» dice ad alta voce il giovane Leon, agitando in aria un vecchio taccuino stretto nella mano. L'uomo, un professore universitario di matematica, si volta a quel richiamo. «Le è caduto questo dalla sua valigetta, tenga» continua lo studente porgendoglielo. A quella vista il professore sembra impaurito ed incapace di rispondere, scuotendo la mano in segno di rifiuto. «Prenda professore, lo stava perdendo» insiste Leon, ma lui continua e rifiutare silenziosamente poi, balbettando, risponde: «Io... ehm, ti ringrazio, ma puoi pure tenerlo se ti fa piacere». «Tenerlo, prof? Che cos'è? A lei non serve?» chiede incuriosito il ragazzo. Il prof, allontanandosi di fretta, conclude: «Non pensarci troppo!». Leon si ritrova con quel taccuino tra le mani, interdetto. Lo fissa qualche istante poi lo infila nella borsa a tracolla che gli scende sul fianco, infine continua la sua strada verso la biblioteca universitaria. 

La sala studio è pressoché deserta, se non per due studenti troppo assorti nel loro studio. Leon decide comunque di sedersi in disparte e lascia cadere la sua borsa sulla scrivania, prende posto e inizia a tirare fuori i libri per ripassare l'esame che lo attende il giorno dopo. Tra questi libri, il taccuino del professor Smith fa la sua comparsa alla vista di Leon, che lo afferra. Con fare discreto e riservato si guarda intorno per essere sicuro che nessuno lo stia guardando. Apre allora quel taccuino, sollevando la copertina. A primo impatto non gli sembra, quella, la scrittura del professor Smith. In bella grafia, con una penna stilografica probabilmente di alta qualità, compare al centro della prima pagina la scritta "Uccidimi". Sempre più curioso volta pagina per scoprire che i seguenti fogli sono tutti scritti anch'essi a mano, ma questa volta dal professor Smith. 

Intere pagine ricolme di apparentemente incomprensibili formule matematiche e calcoli estremamente complessi, se non altro lo erano per il giovane Leon che studiava più semplicemente filosofia. Aveva sempre detestato la matematica. Eppure pensò che il professor Smith doveva averci impiegato davvero molto tempo ad eseguire tutti quei calcoli. Tra una correzione e l'altra, quelle pagine presentavano alcune annotazioni a bordo facciata. "Ci sono quasi" oppure "Manca poco" erano alcune di queste. Sembrava che il professore stesse provando a raggiungere un determinato risultato. Bramoso di sapere quale questo fosse, Leon fa scorrere le pagine tra le dita fino ad arrivare all'ultima del taccuino convinto di trovare una risposta. Rimane però deluso quando si accorge che le ultime righe dell'ultima pagina si riducono tutte ad un'unico simbolo: l'infinito. 

Un paio di ore dopo, è arrivata l'ora per Leon di raccogliere le sue cose e rientrare a casa. Nel rimettere tutti i suoi libri nella borsa, qualcosa scivola cadendo al suolo e aprendosi: il taccuino. È impossibile per Leon non accorgersi che pero, adesso, le pagine sono completamente bianche, limpide, come se non fossero mai state scritte. Rimanendo così di stucco. Chinandosi lo solleva da terra e lo sfoglia velocemente partendo dal fondo fino alla prima pagina dove ora, al centro, compare scritta la data e l'ora di quello stesso momento: "19 Febbraio 1993, ore 11:35". Lo sguardo incredulo di Leon, fisso, immobile su quella scritta viene distolto solo quando il custode annuncia la chiusura della sala studio da lì a pochi minuti, per la pausa pranzo. Con cautela ripone quel taccuino nella borsa e, quando alza lo sguardo, si rende conto di essere rimasto l'unico in quella sala ormai vuota. 

Dopo pranzo, una volta rientrato a casa, Leon si siede alla sua scrivania con l'intenzione di studiare. Tuttavia il pensiero di quell'inquietante quaderno lo assilla. Lo estrae nuovamente dalla sua borsa e lo apre davanti a sé per dare un'altra occhiata a quella scritta misteriosa. Senza rendersi conto di quanto tempo sia passato. Dopo un po', il telefono squilla. Nadir, un collega universitario di Leon, lo stava chiamando: «Leon, ti disturbo?» chiede, ma prima ancora che Leon potesse rispondere, continua: «Il professor Smith, hai già saputo? È stato trovato morto questa mattina alle undici e trenta, cause sconosciute». Intanto, Leon, fissa immobile l'orario scritto sulla prima pagina del taccuino, insieme alla data. «Leon, ci sei?» chiede il collega, «Sì... Sono qui, ma devo andare» risponde lui chiudendo la telefonata. Pensieroso, ricorda la scritta che lesse la prima volta che guardò il taccuino perso dal professore: "Uccidimi".

La data e l'ora apparse successivamente, una volta entrato in possesso del taccuino, segnavano quindi il giorno e l'ora della morte del professore. Ma perché? Questa domanda ora martellava con insistenza nella mente di Leon. E per quale motivo c'erano quella quantità di calcoli matematici con relative annotazioni nelle seguenti pagine? A cosa stava tentando di arrivare il professore? Tutti quei calcoli si risolvevano poi in un infinito. Il professore non sembrava molto dispiaciuto di aver smarrito quel taccuino anzi, sembrava volersene disfare. Inoltre, aveva detto chiaramente a Leon di non pensarci troppo. Lui, però, ne era già ossessionato. Fissa quel taccuino che si trova sopra la scrivania proprio di fronte a lui, come a volerlo interrogare. «Cosa sai?» chiede Leon, stupendosi da solo di aver pensato ad alta voce e per di più rivolgendosi ad un taccuino. Un soffio di vento solleva la tenda entrando dalla finestra socchiusa, facendo muovere le pagine di quel taccuino davanti agli occhi increduli di Leon, quando i fogli scorrono fino all'ultima facciata, dove ora compare la scritta: "Tutto, se me lo chiedi".

domenica 3 marzo 2024

Play #5.

(INTERFERENZA)
Si dice tanto ultimamente che il pensiero sia in grado di creare. Può darsi, ma è sempre poi la mente che distrugge. Per costruire, invece, serve tutta un'altra serie di competenze di vita, molto concrete ma anche emotive. 
(INTERFERENZA)

Oggetti smarriti.

Mi perdo nel mio respiro.

Mi trovo nel mio pensare.

sabato 2 marzo 2024

Amnesia.

Ci siamo toccati, per un momento, attraverso un vetro opaco. Senza che nessuno dei due lo sapesse, ci siamo guardati. E questo ricordo giacerà sul fondale dei nostri inconsci, per sempre. Forse, solo ogni tanto,  questo ricordo verrà smosso da quel fondale ad ogni nostra sensazione di essere osservati, da quell'inquietante e sempre negata consapevolezza di non essere poi soli per davvero. Ad ogni brivido che farà rizzare i peli sulle braccia, quando un soffio gelido ci accarezza la schiena nella notte. Quando tutto questo accadrà, in quel momento, sapremo ogni cosa. Senza tuttavia ricordarla. E, tutto questo, ci farà sentire sempre e per sempre un po' incompleti, mancanti di qualcosa che non riusciamo a mettere a fuoco. Saremo niente di più che un déjà vu. Qualcosa di facilmente confondibile con un cortocircuito, un errore. Ed oltre alla mancanza, avvertiremo forte anche il sospetto di un difetto.

Per aspera ad astra.

venerdì 1 marzo 2024

Allo specchio.

Ora dinanzi al tuo riflesso non tremare,
specchiare le paure non può che accrescerle
e in un lampo ti potrebbero accerchiare.  

Così altezzoso, lui, ti scruta dall'alto
e così deluso, tu, basso il tuo sguardo.

Interroga, interroga lo specchio
ma ti prego non tremare.

Tu già sai qual è la risposta 
che in un sol momento ti compare. 

Superficie riflettente che conosce 
le tue migliori versioni,
eppure ha visto anche lei giornate peggiori. 

Ti chiede attenzione fin quando decidi 
di allungare una mano, alzi lo sguardo: 
sei tu che cerchi ciò che non vedi. 

Questa non è solo luce che rimbalza
ma l'eco lontano di urla graffianti
sulle pareti della stanza.

L'infelicità è la forma che prende la consapevolezza dell'esistenza di altro.