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Tocca le mie ferite e credi nella mia sofferenza, non ho altro da dimostrare di ciò che è rimasto di una partita al gioco più folle al quale io abbia mai partecipato. Ma se hai pochi minuti da dedicarmi, ho una storia da raccontarti. Mettiti comodo.

lunedì 30 ottobre 2023

La melodia del Carillon.

Quella mattina il piccolo Leo si trova nella sua stanza, intento a districarsi tra le decine di giocattoli che ha riversato sul pavimento e che ora lo accerchiano. Tra soldatini, trottole, costruzioni, trenini e macchinine lui sembra però molto impegnato a cercare qualcosa che non vuole saltare fuori tra tutta quella confusione. Quasi innervosito ed imbronciato si alza da terra e, facendo sbattere furiosamente i suoi piedini, si dirige in cucina dove la sua mamma sta preparando da mangiare per il pranzo. «Mamma, dov'è il mio carillon?» le chiede con decisione. La mamma di Leo lo guarda stupita, ci pensa qualche istante e poi risponde: «Carillon? Quale carillon, tesoro?». Il bimbo ci riflette e le parole sembrano non volergli uscire dalla bocca. In effetti nemmeno lui ricorda come sia fatto questo carillon. Non se lo ricorda più. Però ne ricorda bene la melodia, ed allora prova ad intonarla alla mamma con un sonoro «la la la - la, la la la - la». 

La mamma guarda suo figlio meravigliata perché quella canzoncina non gli faceva venire in mente nulla. «Bé, se ne ricordi il suono, quel carillon dev'essere per forza lì da qualche parte. Ti aiuterò a cercarlo dopo mangiato, va bene?» risponde lei dando un'amorevole carezza sul volto del piccolo che, sconfortato, torna a dirigersi verso la sua camera. Proprio in quell'istante, passando davanti alla porta d'ingresso, questa si apre. Il papà di Leo è appena rientrato a casa da lavoro per il pranzo ed il bambino gli si lancia tra le braccia per accoglierlo. «Papà, tu ricordi dove è il mio carillon?» chiede poi Leo al suo papà, che ribatte: «Uhm... No, direi di no. Non ricordo nessun carillon, ma se provi a mettere in ordine tra i tuoi giocattoli sono certo che salterà fuori». 

Una volta di nuovo dentro la sua camera, Leo, decide che avrebbe rimesso tutto in ordine fino a ritrovare quel carillon del quale era così convinto di ricordare il suono. "Da che parte inizio?" si chiede tra sé il bambino. C'era a dire il vero un gran subbuglio in quella piccola stanzetta, ma da qualche parte doveva pur cominciare a riordinare. Leo allora si china per raccogliere una vecchia bambola di pezza, rotta ed un po' malconcia e senza un occhio e, mentre sta per riporla sullo scaffale delle altre bambole, questa sussultando gli chiede: «Stai cercando il carillon, vero, Leo?». Il piccolo bambino rimane di stucco nel sentir parlare quella vecchia bambola rotta e, dopo qualche attimo di esitazione, le risponde: «Io... sì, sto cercando il carillon. Ma tu parli? Sei solo una bambola rotta...». La bambola sembra quasi offendersi ma poi torna ad addolcirsi e gli si rivolge dicendo: «Sai, piccolo, tutti noi giocattoli veniamo utilizzati e, prima o poi, ci rompiamo o ancora più spesso andiamo perduti, proprio come il tuo carillon - la bambola sospira, poi continua - Tutti noi giocattoli in questa stanza ne sentiamo il suono durante la notte, proprio mentre anche tu stai dormendo». Una luce di speranza si accende negli occhi del giovanissimo Leo, che ora sa con certezza che quel carillon dev'essere lì da qualche parte. «Potresti provare a chiedere al soldatino di plastica, magari lui saprà dirti dove finiscono tutti i giocattoli perduti» conclude la bambola rotta. Leo la stringe forte tra le sue braccia prima di riporla sullo scaffale e, questa, torna poi ad assopirsi priva di vita.

Leo si dirige verso il soldatino di plastica e, con gran stupore, scopre che anche lui è ora vivo oltre che evidentemente impegnato in un furioso combattimento militare con altri soldatini. «Giovane Leo, avanziamo con l'artiglieria pesante!» gli si rivolge proprio il soldatino. «Chiedo scusa, soldato, a dire il vero io ero venuto per chiederle del mio vecchio carillon... Mi manda la bambola rotta». Il soldatino di plastica si blocca, come se il conflitto armato alle sue spalle non esistesse più per lui. Volge il suo sguardo autoritario al piccolo e risponde: «Bene, bene. Quindi staresti cercando il carillon dimenticato? È così?» Il piccolo si sente in difficoltà nel rispondere, come se ci fosse qualcosa di sbagliato nel ricordare la melodia di un carillon che nessuno ha mai visto. «Sì, comandante, sto cercando il carillon... Lei può aiutarmi?» Il soldatino gli fa cenno con la mano di chinarsi verso di lui ed il bimbo esegue l'ordine poi, sottovoce, il minuscolo militare gli sussurra timidamente qualcosa all'orecchio: «Io ti aiuterò, ma tu non dovrai più farci combattere. La guerra è orribile per noi soldatini». Leo rimane perplesso perché non si aspettava una richiesta simile da un soldatino di plastica ma, comprendendo le atrocità che i combattimenti comportavano per quei soldatini, accetta l'accordo chinando la testa. «Molto bene, ti attende un lunghissimo viaggio, mio giovane Leo. Il trenino velocissimo saprà indicarti la strada per il luogo in cui finiscono i giocattoli perduti e dimenticati, recati da lui e... Grazie, Leo». A quel punto il soldatino di plastica torna ad irrigidirsi, ormai inerme ma questa volta con un'espressione serena. Leo ripone così tutti quanti i soldatini di plastica nella loro cesta ponendo fine alla loro guerra.

«In carrozza! In carrozza!» fischia il trenino velocissimo facendo risuonare la campana sulla sua locomotiva  ed emettendo nuvole di vapore. Il piccolo Leo ne interrompe la partenza e gli si rivolge con pacata educazione: «Signor trenino velocissimo, vengo qua dal soldatino di plastica e, prima ancora, dalla bambola rotta perché in cerca del mio carillon dimenticato. Mi è stato detto che lei potrebbe condurmi laddove finiscono i giocattoli perduti e dimenticati, è così?». Il trenino velocissimo borbotta in una nuvola di fumo nero: «Può darsi, Leo, può darsi». Il bambino resta timidamente in attesa del permesso di salire a bordo, ma il trenino velocissimo rimane in silenzio, come in attesa. «Ebbene, il biglietto?» chiede infine il trenino velocissimo con aria saccente. «Io... a dire il vero, ecco...» Leo non sa cosa rispondere con esattezza, era la prima volta che un trenino giocattolo gli chiedeva il biglietto di viaggio. Infine si infila una mano nel taschino e ne estrae una caramella e, dopo averla scartata con frenesia ed averla infilata in bocca, ne porge la carta al trenino. Questo la guarda in silenzio con espressione titubante ma, alla fine, esclama: «Oh, la carta di una caramella! Alla fragola! Questo andrà più che bene come biglietto di viaggio, puoi salire a bordo. Grazie tante». Leo, masticando la sua caramella alla fragola, tira un sospiro di sollievo, temeva che il trenino velocissimo potesse sentirsi offeso per quello scarto. Ma ora era sicuro che quel treno lo stava portando nel luogo in cui finiscono tutti i giocattoli perduti e dimenticati e, forse, avrebbe trovato anche il suo carillon. 

Durante quel lungo viaggio Leo vede sfrecciare accanto a sé tutti i suoi giocattoli preferiti. Il dondolio del vagone sulle rotaie lo fa assopire e si lascia cullare da quel rumore che, sempre più dolcemente, sembra diventare una tenera e nostalgica melodia che risuona "la la la - la, la la la - la". Leo sprofonda così in un profondissimo sonno. Vede nella sua mente sua la vecchia bambola rotta che gli corre in contro ma ora, no, non è più rotta: è come nuova e sembra essere felice di aver messo Leo sulla strada del carillon. Vede anche il soldatino di plastica che adesso, finita la guerra, torna dalla sua famiglia per passare con loro il resto della sua vita senza più dover combattere contro altri soldatini. Al di là del vetro vede la mamma ed il papà che lo salutano con la mano, contenti di vederlo partire per il mondo. Poi un sussulto lo riporta alla realtà quando la voce squillante del trenino velocissimo annuncia: «Capolinea!»

Scendendo così dal trenino velocissimo Leo, ancora assonnato, si ritrova davanti al gioco del dottore che, pochi giorni prima, aveva lasciato in disordine in un angolo della sua stanza. C'era ancora uno dei suoi orsacchiotti ricoperto da cerotti e pronto perché gli venisse fatta una puntura. «Guariscimi, Leo, sono terribilmente malato» gli dice l'orsacchiotto con il cerotto. «Cosa posso fare io? Sono solo un bambino, non sono un dottore» dice tristemente il bambino all'orsacchiotto, che poi continua: «Sto solo cercando il mio carillon, il trenino velocissimo doveva portarmi dove vanno a finire tutti i giocattoli perduti e dimenticati». L'orsacchiotto con il cerotto scoppia allora a piangere e Leo, ancora più triste, gli fa una carezza chiedendogli come avrebbe potuto aiutarlo. «Io sono uno dei giocattoli dimenticati, aiutami a guarire ed io ti mostrerò come arrivare al carillon che hai dimenticato», gli risponde questo. Allora Leo riprende in mano la siringa lasciata poco lontano e fa con delicatezza una puntura all'orsacchiotto con il cerotto. Questo sembra tornare in forze e stare meglio, tanto che inizia a scollarsi di dosso tutti quanti i cerotti che lo ricoprivano. «Grazie per non avermi dimenticato in questo postaccio, mio coraggioso Leo, adesso mi sento bene e posso portarti al tuo carillon». A quelle parole il bimbo è entusiasta e sente che finalmente è vicino a scoprire dove possa essere finito il suo vecchio carillon. 

"La la la - la, la la la - la" risuona una melodia in lontananza. «È la melodia del mio carillon!» esulta finalmente Leo, così stanco di cercare. A quel punto l'orsacchiotto ormai senza cerotto torna ad essere privo di vita tra le mani del piccolo Leo che aspettava da lui un nuovo indizio. La porta della sua stanza si spalanca e la sua mamma, con voce dolce, gli ricorda che il pranzo è pronto. Dalla stanza da pranzo ancora quella melodia che fa: "La la la - la, la la la - la", allora Leo corre verso la stanza da pranzo dove, con enorme sconforto, scopre che quel suono proviene dalla televisione accesa. «Eppure era così simile alla melodia del mio carillon...» dice ad alta voce lui, con espressione triste ed incredula allo stesso tempo. «Allora, hai trovato il carillon che cercavi?» gli chiede il papà con tono amorevole mentre si accinge a mangiare. Il bambino alza lo sguardo, gli occhi pieni di lacrime e, con difficoltà, risponde: «No, non l'ho trovato...».

Okay, ma com'è possibile?