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Tocca le mie ferite e credi nella mia sofferenza, non ho altro da dimostrare di ciò che è rimasto di una partita al gioco più folle al quale io abbia mai partecipato. Ma se hai pochi minuti da dedicarmi, ho una storia da raccontarti. Mettiti comodo.

domenica 18 giugno 2023

Qualcosa di Jago.

Jago percorreva a passo stanco una strada non battuta da quelle che gli sembravano almeno cinque o sei ore. Si era infatti messo in cammino prima che il sole svegliasse la città. L'ultima volta che aveva avuto modo di guardare un orologio questo segnava le quattro e venticinque della notte. Ora il sole era già alto e con un'aria saccente picchiava su di lui. In uno scenario quasi onirico dove delle enormi pale eoliche, nascendo da prati sconfinati, svettavano tagliando il cielo. L'unico suono a portata d'orecchio era il rumore degli scarponi del giovane uomo contro il terreno nudo di un sentiero che sembrava non finire mai. In un modo a dir poco irreale, un' eclissi che portava con sé una penombra più tetra del buio. Infine, in un tuono, la pioggia. In pochi istanti Jago era fradicio. Oltre alla stanchezza, la paura e ed i mille pensieri che riempivano quella che era una vera e proprio fuga, l'acqua gli scorreva addosso pesante, inzuppando i vestiti e questo lo demoralizzava ulteriormente. Camminava a sguardo basso da ormai almeno due chilometri quando, alzando lo gli occhi, una vecchia casa diroccata gli compare davanti come un miraggio. Pensando di potervi trovare riparo dall'acqua che il cielo gli riversava addosso, taglia per il prato allontanandosi dal sentiero in direzione della fatiscente abitazione. Giunto a pochi metri da questa, un branco di cani randagi ne viene fuori in direzione di Jago. Non hanno un'aria propriamente rassicurante anzi, ringhiano e sbavano.  Lui pietrificato prova a farsi venire in mente la cosa più sensata da fare. Decidendo allora di indietreggiare con molta calma. I cani fermano la loro avanzata, sedendosi. Ora iniziando ad abbaiare. Lui continua la sua dignitosa resa in silenzio e in una calma quasi divina, anche se dentro il diavolo stava giocando con lui. I cani continuano ad abbaiare rumorosamente, ma restano al loro posto. Intanto Jago aveva ripercorso le sue orme all'indietro, tornando ad attraversare il sentiero che aveva abbandonato, oltrepassandolo nella parte opposta e continuando ad indietreggiare. I cani rabbiosi erano ora un puntino lontano agli occhi del ragazzo, che sta riuscendo a rasserenarsi dallo spavento. 
Proprio in quell'istante si rende conto che aveva anche smesso di piovere ed il sole stava timidamente tornando allo scoperto. La ritirata viene bruscamente interrotta dai suoi stessi passi che sbattono contro qualcosa. Un guardrail. Jago rimane piacevolmente colpito nel ritrovarsi al bordo di una strada. Anche se sembrava deserta decide che la avrebbe seguita, pensando che lo avrebbe portato da qualche parte. Dopo almeno due ore il suono di un motore si avvicina dall'orizzonte, lasciando intravedere un'auto nera che diventa sempre più grande. Jago, moralmente a pezzi, alza a fatica il braccio in segno di autostop. L'auto accosta a lui. Il riflesso del vetro oscurato rifletteva il suo volto stanco quando, infine, si abbassa. Una voce maschile, dall'abitacolo, lo invita a salire a bordo entrando da dietro. Una volta sul sedile posteriore Jago si rende conto che è una famiglia. Una "normalissima" ma allo stesso tempo "improbabile" famiglia. Il signore alla guida un uomo dalle linee e dai colori mediterranei del sud. Al suo fianco, sul sedile del passeggero, una donna bionda e dagli occhi così chiari da sembrare di vetro. Seduto dietro, di fianco a lui, un bimbo di non più di otto anni. Con capelli rossi e lentiggini. Quando gli chiesero dove voleva essere portato, Jago risponde che ogni centro abitato sarebbe andato bene purché avesse potuto bere un po' d'acqua. La sete lo stava infatti asciugando. Dopo un'altra ora di auto, nessuno al suo interno ha pronunciato una parola. Jago stava per assopirsi quando il mezzo si ferma. Oltre il finestrino intravede l'insegna di un bar. Scendendo dall'auto rivolge lo sguardo al suo interno e, con un accenno di sorriso, ringrazia quella strana famiglia per quel passaggio. 
Varcando la soglia di quel bar, un ricordo lo assale con prepotenza. Gli viene in mente di non avere con sé alcun soldo. Quando nella notte si era messo in viaggio si era infatti liberato di ogni cosa. Documenti, telefono, soldi. Si era semplicemente chiuso alle spalle la porta di casa ed era uscito, decidendo che non sarebbe più tornato. Si chiede quindi come avrebbe potuto comprare dell'acqua. In quel momento l'impulso di mettere una mano nella tasca dei pantaloni per scoprire con stupore di trovarci qualche moneta. Com'era possibile? Ponendosi poche domande per quella fortunata scoperta, si avvicina al barista per chiedere con la bocca asciutta e arida semplicemente "acqua". Ma qualcosa di intravisto alle spalle del barman lo immobilizza in un'espressione di curiosità. Vede infatti una cabina telefonica. Si chiede allora cosa sarebbe stato meglio fare. Utilizzare quei pochi spiccioli per dissetarsi e continuare la sua fuga disperata o piuttosto servirsene per fare una telefonata e chiedere aiuto? Sguardo basso in direzione della mano che racchiude quei pochi soldi, poi un respiro profondo. Pochi istanti dopo le monete risuonano cadendo all'interno della gettoniera del telefono pubblico. Alza la cornetta portandola all'orecchio con molta fatica, in un vero e proprio sforzo fisico. Compone un numero. Il telefono, dall'altra parte, suonerà per sempre.

Okay, ma com'è possibile?